TUFO
Sede: EB Gallery, via della Palombella 42, Roma
Inaugurazione: 10 dicembre 2008, ore 18
Chiusura: 31 gennaio 2009
Orari: dal martedì al sabato 11 – 19
Curatrice: Nori Zandomenego
Testi in catalogo: Erri De Luca, Nori Zandomenego
Comunicato stampa
La EB Gallery, di Elisabetta Barbarisi, spazio espositivo nel cuore di Roma a due passi dal Senato che ha dedicato gli ultimi venti anni della propria attività all’antiquariato, inaugura un nuovo percorso dedicato all’arte contemporanea con una mostra di Cristina Cusani, giovane fotografa di origini napoletane.
Cristina Cusani nasce a Napoli nel 1984 e l’anno seguente si trasferisce a Roma con la famiglia.
Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione all’università La Sapienza di Roma nel 2005, si dedica allo studio della fotografia, prima all’University of the Art, London College of Communication a Londra e successivamente all’Outside School a Roma.
2008 Espone Tufo alla Pica Gallery di Napoli
2007 Espone Lùcere, un progetto sull’autoritratto, in una personale allo spazio Penguin di Napoli.
2006 Espone al XXXIX PREMIO VASTO d’arte contemporanea a Vasto e allo spazio Living a Barcellona.
Inizia la collaborazione con la società di comunicazione Leonardo Extra
2005 Collabora come fotografa con la galleria d’arte Officina 14 ed espone nella mostra collettiva Cooperazione alla Locanda Atlantide a Roma
2004 Vince il terzo premio al concorso Fotografare il gusto indetto dall’associazione enogastronomia Comgusto
Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione all’università La Sapienza di Roma nel 2005, si dedica allo studio della fotografia, prima all’University of the Art, London College of Communication a Londra e successivamente all’Outside School a Roma.
2008 Espone Tufo alla Pica Gallery di Napoli
2007 Espone Lùcere, un progetto sull’autoritratto, in una personale allo spazio Penguin di Napoli.
2006 Espone al XXXIX PREMIO VASTO d’arte contemporanea a Vasto e allo spazio Living a Barcellona.
Inizia la collaborazione con la società di comunicazione Leonardo Extra
2005 Collabora come fotografa con la galleria d’arte Officina 14 ed espone nella mostra collettiva Cooperazione alla Locanda Atlantide a Roma
2004 Vince il terzo premio al concorso Fotografare il gusto indetto dall’associazione enogastronomia Comgusto
TESTI DEL CATALOGO
“Il tufo è il catarro del vulcano, lo spurgo della sua canna fumaria.
Ricopre tutta la buccia del golfo, il fondale marino. Napoli è costruita sul raschio di eruzioni e scosse.
Ho lavorato il tufo nei cantieri. E' una pietra assetata, bagnata pesa il doppio, si squadra con un ferro, perfino con i denti della sega. Perciò se n' è servita la città cavandolo da sotto per fabbricare sopra.
Le civiltà hanno usato le pietre per muraglie e case, il tufo non è pietra. E' la stesura di materia in fiamme, sputata fuori e raffreddata al sole. E' sughero di terra che tiene bene la chiusura e fa respirare, va bene per sepolcro e per cantina. E' la materia di cui è fatto il carattere del nostro luogo e dei suoi abitanti.
Cristina Cusani fa affiorare la trama piroclastica che sta a sostegno delle nostra ossa e degli incubi.
C'è tufo nel maestrale e nello scirocco, nelle onde del mare e nelle rughe delle nostre facce.
C'è tufo sulfureo nelle collere della città irritabile e incendiaria, c'è tufo nell'immenso delle sue pazienze.
Per una buona volta una ragazza visionaria lo denuncia.
E' il nostro azoto, l'inerte che si lega all'ossigeno per trasportarlo in giro per il sangue. Non è anima il tufo, è la nostra zavorra per non partire in cielo a cavallo del libeccio. Non è anima, è sale che ci aderisce al suolo.
Il tufo è partito per terre assai lontane nelle tasche sfondate e rattoppate dei nostri migratori, scesi a milioni nelle stive della terza classe, rispuntati all'aria dopo un oceano o due. Il tufo li ha riportati indietro, sconfitti o fortunati, perchè il tufo ritorna alla sua origine.
Di tufo è la nostra parlata, ruvida e smozzicata, da venditori ambulanti e da poeti, che devono sbrigarsela in poche sillabe. Perciò Grazie Cristina Cusani per farcelo trovare sparso e scritto sotto il nostro luogo.
Per quanto possa apparire fitto e denso il nostro abitare, il tufo manda a dire che è deserto, e noi una sua escrescenza di stagione, meno avvinghiata al suolo di un lichene”
Ricopre tutta la buccia del golfo, il fondale marino. Napoli è costruita sul raschio di eruzioni e scosse.
Ho lavorato il tufo nei cantieri. E' una pietra assetata, bagnata pesa il doppio, si squadra con un ferro, perfino con i denti della sega. Perciò se n' è servita la città cavandolo da sotto per fabbricare sopra.
Le civiltà hanno usato le pietre per muraglie e case, il tufo non è pietra. E' la stesura di materia in fiamme, sputata fuori e raffreddata al sole. E' sughero di terra che tiene bene la chiusura e fa respirare, va bene per sepolcro e per cantina. E' la materia di cui è fatto il carattere del nostro luogo e dei suoi abitanti.
Cristina Cusani fa affiorare la trama piroclastica che sta a sostegno delle nostra ossa e degli incubi.
C'è tufo nel maestrale e nello scirocco, nelle onde del mare e nelle rughe delle nostre facce.
C'è tufo sulfureo nelle collere della città irritabile e incendiaria, c'è tufo nell'immenso delle sue pazienze.
Per una buona volta una ragazza visionaria lo denuncia.
E' il nostro azoto, l'inerte che si lega all'ossigeno per trasportarlo in giro per il sangue. Non è anima il tufo, è la nostra zavorra per non partire in cielo a cavallo del libeccio. Non è anima, è sale che ci aderisce al suolo.
Il tufo è partito per terre assai lontane nelle tasche sfondate e rattoppate dei nostri migratori, scesi a milioni nelle stive della terza classe, rispuntati all'aria dopo un oceano o due. Il tufo li ha riportati indietro, sconfitti o fortunati, perchè il tufo ritorna alla sua origine.
Di tufo è la nostra parlata, ruvida e smozzicata, da venditori ambulanti e da poeti, che devono sbrigarsela in poche sillabe. Perciò Grazie Cristina Cusani per farcelo trovare sparso e scritto sotto il nostro luogo.
Per quanto possa apparire fitto e denso il nostro abitare, il tufo manda a dire che è deserto, e noi una sua escrescenza di stagione, meno avvinghiata al suolo di un lichene”
Erri De Luca
“Si apre il sipario e agli occhi degli spettatori si presenta una scenografia nota: piazza del Plebiscito e una scena quotidiana, su più piani di racconto, in un ipotetico scenario a strati orizzontali verso le quinte architettoniche fino al cielo. Dalla staticità dell’immagine, dalla ieratica posizione degli attori, dal confondersi degli elementi, dal vortice creato dalla materia raffigurata sottostante il paesaggio e la scena, fa capolino Napoli, ma non solo, ad apparire poco per volta è la napoletanità, quella verginea, quella primigenia, quella primordiale, che poggia la sua esistenza negli elementi dai quali è stata generata: il sole, il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra, e che si racchiudono, in sintesi perfetta, nel tufo.
Le opere che Cristina Cusani presenta in questa sua personale romana alla EB Gallery sono fotografie in bianco e nero. Fotografie della Napoli di oggi che celebrano in realtà tutto il suo passato e le permettono, ancorando queste immagini alla propria storia, di proiettare nel futuro il racconto della ricerca delle sue origini e di conseguenza della sua identità d’artista. Difficile dunque applicare parametri temporali alle fotografie di questa esposizione, perché senza un reale connotato di cronaca. Non si celebra in questi scatti solo la Napoli dei vicoli, dei panni stesi, delle marine, delle piazze, dei castelli, delle infinite chiese o la Napoli dei rifiuti, delle brutture, della violenza.
La città che Cristina consegna ai nostri sguardi è la risultante di un viaggio compiuto alla ricerca della sua storia e del legame con questo luogo, ma anche e soprattutto il racconto di una collettività umana nella quale ricercare la propria identità e appartenenza. Questi scatti sono i testimoni di un trascorso, di un tempo impossibile da definire, vicino ma anche lontano, che proprio perché non decifrabile si carica di mistero e porta con sé le tracce di un vissuto, di una lunga storia, di un popolo, dei suoi profumi, dei suoi colori, dei suoi tanti caratteri.
Una città che nel consegnarci la storia di se stessa e del suo popolo, mostrandoci la sua vita e il suo paesaggio attraverso le sue facce architettoniche, naturalistiche e umane, ci racconta anche di questa giovane donna nata a Napoli ma cresciuta a Roma che proprio attraverso questi lavori ricerca le sue origini, celate nel profondo del suo animo, nel legame quasi straordinario con questa terra mai realmente conosciuta o vissuta ma sempre sentita presente e forte nel suo io più vero, più intimo, più primitivo.
La Napoli di questi lavori è mitica nel suo passato quanto nel suo presente. Una città che nella storia assume i connotati di una donna, una madre feconda che genera la vita e cresce i suoi figli, tenendoli prepotentemente vincolati a sé, nell’animo, per sempre. Una terra originata da quello strato magmatico ed infuocato, mai realmente spento nell’animo di chi da quel grosso cratere primordiale è nato. Proprio nella terra e nel mare questi lapilli si sono sedimentati e mescolati all’ambiente che li ha ospitati, alle conchiglie del fondale, ai gas, ai liquidi, ai minerali. Nel corso di molti millenni sono diventati utero, ventre e culla di un micromondo unico ed irripetibile. Recuperare quel passato, quelle origini, equivale a valorizzare l’identità storica e culturale di una comunità in stretto rapporto con l’ambiente che l’ha generata, ma nel contempo per l’artista significa ricercare se stessa e dare un significato alla sua esistenza che la fa sentire da sempre così tanto napoletana.
Per perseguire questo intento era necessario offrire di Napoli e della sua comunità un punto di vista alternativo, non scontato, non banale. Cristina studia dunque la città ma anche il materiale sul quale poggia e con il quale è stata edificata, esegue scatti urbani, ritratti, marine, ma fotografa anche una mattonella di tufo, con la sua superficie ruvida ed imprecisa, alla ricerca di un modo per legare questi elementi fra loro. È in camera oscura, sovrapponendo i due negativi, dell’immagine e del tufo, che l’artista compie finalmente la sua alchimia. Proprio lì, dal magma degli acidi, a poco a poco, sulla carta fotografica che galleggia nella bacinella del liquido, fa capolino una vela, una piccola barca a vela che solca un mare di roccia, in un paesaggio in cui tutti gli elementi rintracciabili hanno perduto la loro reale natura per assumere i connotati del tufo con tutta la callosità e la durezza che questo materiale porta con sé.
Ecco dunque che l’artista trova il suo personale percorso alla scoperta di dove si cela il cuore, il battito vitale di questo luogo: nella sua stessa materia primordiale. Cristina segue ogni fase con scrupolo, con attenzione, partecipa ad ogni operazione e conduce la sua creatura dalla gestazione, alla nascita, alla fruizione, registrando ogni passaggio, impossessandosi di ogni piano del lavoro e del racconto, calcolando il dosaggio della luce, delle ombre, dei contorni e dei profili di ciò che sulla carta fotografica si imprime, il risultato che ottiene fa si che ogni elemento anche il più piccolo, si definisca e si descriva quasi manualmente, con un effetto molto simile all’incisione.
Trovata la chiave di lettura della sua Napoli ecco finalmente escogitato il modo per raccontare la sua città, la sua storia, il suo animo, la sua essenza. Ecco dunque il modo per dare un senso alla propria esistenza umana ed artistica. Ecco soprattutto perpetuarsi un racconto che giunge da lontano e che trasformandosi, evolvendosi, si protende al di là del presente, oltre un orizzonte ipotetico che la cornice dei quadri di Cristina ci limita allo sguardo, ma che intuiamo esistere.
Ecco dunque che l’aprirsi di quel sipario scopre una Napoli che non cela più niente di sé: le sue origini geologiche, mitiche, passate, presenti e future. Il battito del suo cuore, che pulsando da sotto, avvicina o allontana, fa avanzare o indietreggiare, palesa o riassorbe nella sua fibra le immagini rappresentate e concorre, pur sempre uguale, a trasfigurare quel luogo e quelle facce, accettando e celebrando ogni rito in maniera solenne e devota come una fede, l’omaggio ad un Dio, alla Bellezza, all’Arte”
Le opere che Cristina Cusani presenta in questa sua personale romana alla EB Gallery sono fotografie in bianco e nero. Fotografie della Napoli di oggi che celebrano in realtà tutto il suo passato e le permettono, ancorando queste immagini alla propria storia, di proiettare nel futuro il racconto della ricerca delle sue origini e di conseguenza della sua identità d’artista. Difficile dunque applicare parametri temporali alle fotografie di questa esposizione, perché senza un reale connotato di cronaca. Non si celebra in questi scatti solo la Napoli dei vicoli, dei panni stesi, delle marine, delle piazze, dei castelli, delle infinite chiese o la Napoli dei rifiuti, delle brutture, della violenza.
La città che Cristina consegna ai nostri sguardi è la risultante di un viaggio compiuto alla ricerca della sua storia e del legame con questo luogo, ma anche e soprattutto il racconto di una collettività umana nella quale ricercare la propria identità e appartenenza. Questi scatti sono i testimoni di un trascorso, di un tempo impossibile da definire, vicino ma anche lontano, che proprio perché non decifrabile si carica di mistero e porta con sé le tracce di un vissuto, di una lunga storia, di un popolo, dei suoi profumi, dei suoi colori, dei suoi tanti caratteri.
Una città che nel consegnarci la storia di se stessa e del suo popolo, mostrandoci la sua vita e il suo paesaggio attraverso le sue facce architettoniche, naturalistiche e umane, ci racconta anche di questa giovane donna nata a Napoli ma cresciuta a Roma che proprio attraverso questi lavori ricerca le sue origini, celate nel profondo del suo animo, nel legame quasi straordinario con questa terra mai realmente conosciuta o vissuta ma sempre sentita presente e forte nel suo io più vero, più intimo, più primitivo.
La Napoli di questi lavori è mitica nel suo passato quanto nel suo presente. Una città che nella storia assume i connotati di una donna, una madre feconda che genera la vita e cresce i suoi figli, tenendoli prepotentemente vincolati a sé, nell’animo, per sempre. Una terra originata da quello strato magmatico ed infuocato, mai realmente spento nell’animo di chi da quel grosso cratere primordiale è nato. Proprio nella terra e nel mare questi lapilli si sono sedimentati e mescolati all’ambiente che li ha ospitati, alle conchiglie del fondale, ai gas, ai liquidi, ai minerali. Nel corso di molti millenni sono diventati utero, ventre e culla di un micromondo unico ed irripetibile. Recuperare quel passato, quelle origini, equivale a valorizzare l’identità storica e culturale di una comunità in stretto rapporto con l’ambiente che l’ha generata, ma nel contempo per l’artista significa ricercare se stessa e dare un significato alla sua esistenza che la fa sentire da sempre così tanto napoletana.
Per perseguire questo intento era necessario offrire di Napoli e della sua comunità un punto di vista alternativo, non scontato, non banale. Cristina studia dunque la città ma anche il materiale sul quale poggia e con il quale è stata edificata, esegue scatti urbani, ritratti, marine, ma fotografa anche una mattonella di tufo, con la sua superficie ruvida ed imprecisa, alla ricerca di un modo per legare questi elementi fra loro. È in camera oscura, sovrapponendo i due negativi, dell’immagine e del tufo, che l’artista compie finalmente la sua alchimia. Proprio lì, dal magma degli acidi, a poco a poco, sulla carta fotografica che galleggia nella bacinella del liquido, fa capolino una vela, una piccola barca a vela che solca un mare di roccia, in un paesaggio in cui tutti gli elementi rintracciabili hanno perduto la loro reale natura per assumere i connotati del tufo con tutta la callosità e la durezza che questo materiale porta con sé.
Ecco dunque che l’artista trova il suo personale percorso alla scoperta di dove si cela il cuore, il battito vitale di questo luogo: nella sua stessa materia primordiale. Cristina segue ogni fase con scrupolo, con attenzione, partecipa ad ogni operazione e conduce la sua creatura dalla gestazione, alla nascita, alla fruizione, registrando ogni passaggio, impossessandosi di ogni piano del lavoro e del racconto, calcolando il dosaggio della luce, delle ombre, dei contorni e dei profili di ciò che sulla carta fotografica si imprime, il risultato che ottiene fa si che ogni elemento anche il più piccolo, si definisca e si descriva quasi manualmente, con un effetto molto simile all’incisione.
Trovata la chiave di lettura della sua Napoli ecco finalmente escogitato il modo per raccontare la sua città, la sua storia, il suo animo, la sua essenza. Ecco dunque il modo per dare un senso alla propria esistenza umana ed artistica. Ecco soprattutto perpetuarsi un racconto che giunge da lontano e che trasformandosi, evolvendosi, si protende al di là del presente, oltre un orizzonte ipotetico che la cornice dei quadri di Cristina ci limita allo sguardo, ma che intuiamo esistere.
Ecco dunque che l’aprirsi di quel sipario scopre una Napoli che non cela più niente di sé: le sue origini geologiche, mitiche, passate, presenti e future. Il battito del suo cuore, che pulsando da sotto, avvicina o allontana, fa avanzare o indietreggiare, palesa o riassorbe nella sua fibra le immagini rappresentate e concorre, pur sempre uguale, a trasfigurare quel luogo e quelle facce, accettando e celebrando ogni rito in maniera solenne e devota come una fede, l’omaggio ad un Dio, alla Bellezza, all’Arte”
Nori Zandomenego
Maria Letizia Ortolani
Tel. 340.8334822
marialetizia.ortolani@gmail.com
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