di Sonia Gammone
Nei primi anni del Cinquecento Firenze torna a splendere
artisticamente e culturalmente dopo la stasi del periodo savonaroliano, conclusosi
con la condanna al rogo del frate nel 1498. Raffaello vi giunge nell’ottobre
del 1504, subito dopo aver terminato lo Sposalizio
della Vergine, opera con la quale raggiunse un risultato stilistico tale da
porlo come il massimo esponente della pittura umbro-marchigiana del suo tempo.
Gli anni fiorentini saranno fondamentali per la definizione della sua arte. Raffaello,
giovanissimo, attuerà una geniale mediazione tra i linguaggi di Leonardo e
Michelangelo, assimilando dal primo la grazia e dal secondo il furore creativo,
ma staccandosi da entrambi e creando quel suo stile fatto di equilibrio compositivo
e di perfezione formale.
Nella sua produzione pittorica è dedicato ampio spazio al
genere del ritratto che nel primo ‘500 è particolarmente richiesto dall’aristocrazia.
Nei ritratti fiorentini per Raffaello sarà fondamentale l’insegnamento della Gioconda, che egli però tradurrà in un
linguaggio sostanzialmente diverso: non un ritratto ideale ma fedele alla
realtà che costituisce un importante documento della società del tempo. Uno dei
primi ritratti è probabilmente la Dama
con liocorno. La giovane ritratta per lungo tempo si è celata dietro i
panni di Santa Caterina d’Alessandria, tema iconografico diffuso dalla
Controriforma. Infatti, prima del restauro del 1935, vi comparivano alcuni
attributi iconografici del martirio: la ruota dentata, la penna d’oca e un
mantello sulle spalle. Il dipinto è datato intorno al 1505-1506. La dama bionda
è ritratta seduta, con il corpo leggermente girato verso sinistra ma il viso
quasi frontale allo spettatore. La linea delle braccia e delle spalle disegna
un volume rotondo, il volto ha un ovale perfetto che viene messo in grande
risalto. La luce diffusa infonde un senso di calme e serenità, senza forti
contrasti d’ombra. L’unicorno è simbolo di verginità e castità. La giovane
corrisponde esattamente ai canoni estetici celebrati dagli scrittori dell’epoca,
così come i gioielli e l’abito sontuoso ne mostrato l’alto stato sociale.
Successivamente Raffaello si trasferì a Roma, ed è a questo periodo che
risale una seria superba di ritratti che si caratterizzano per la profonda
analisi psicologica. In particolare La
Velata del 1514-1515, è il ritratto di un’affascinante nobildonna che
Vasari all’epoca identificò come Margherita Luti, la donna amata da Raffaello.
Il ritratto deve il proprio nome al velo chiaro che copre la testa della
giovane. Qui troviamo un magistrale controllo del colore e della luce,
caratteristiche proprie della maturità pittorica raggiunta. La figura si
appropria dello spazio con un’espressione che è più un’istantanea che un
ritratto di genere. Gli abiti sontuosi mostrano l’abilità di Raffaello nel
rendere i magnifici drappeggi. La luce poi, dona quello splendore particolare
che sfuma i contorni e addolcisce la figura. La stessa donna sembra essere
secondo molti raffigurata in tutt’altra veste nel dipinto La Fornarina del 1518-1519. Il sensuale ritratto raffigura la
musa-amante del pittore, ritratta a seno scoperto e con un turbante in testa su
uno sfondo scuro. Al braccio, la donna ha un bracciale che riporta la firma di
Raffaello, "RAPHAEL URBINAS". Anche se non è accertata l’identità
della donna, è innegabile che Raffaello amasse molto le donne. La comprensione
della femminilità gli permise di recuperarne l’immagine da quell’atmosfera
irreale e sentimentale in cui le aveva collocate Leonardo per riportarle in una
dimensione reale di sensualità terrena.
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