L’incanto della pittura è da ricercare lontano. A Paestum, tra il mare e il mito, dove l’Archeologica ha riesumato dall’oblio dei secoli preziosi documenti dipinti. Al di fuori delle mura di cinta della fiorente colonia magnogreca, si estendono diverse aree cimiteriali attive sin dal Preistorico. Quelle pertinenti ai ritrovamenti lucani custodiscono un migliaio di sepolcri, di cui solo ottanta sono dipinti e provengono prevalentemente dalla necropoli urbana di Andriuolo. Il ricco repertorio tombale riemerso in tali contesti, testimonia con chiarezza i caratteri peculiari di una polis che si trasforma all’ombra dell’occupazione lucana (420-410 a.C.). La perdita della grecità non fu drammatica per l’antica colonia. Nella nuova “Paistom dei Lucani” si fusero ben presto nuovi sentori di splendore e sviluppo. Tale passaggio è tangibile soprattutto nella progressiva trasformazione del rituale funerario, incline alla maggiore ricercatezza nella scelta dell’oggettistica da sepoltura. Oltre al corredo fittile, la tendenza e la “volontà” di arricchire lo spazio del defunto con repertori dipinti si attesta sin dalla seconda metà del IV sec. a.C.. Scopo di questo breve intervento sarà quello di delineare una relazione generale su tali scelte decorative.
Nel lasso che va dal V al IV secolo, il modus pingendi dell’officina lucana assimila una nutrita escalation stilistica. I dipintori abbandonano la composizione prettamente geometrica e modulata “a registro”, intonata a medie bande di colore, per includere sul piano lapideo i primi elementi fitomorfi e vegetali. I soggetti esplicitano il messaggio: elementi stilizzati alludono alla rinascita della vita, mentre un motivo “risparmiato” e continuo di foglie di alloro incornicia a mo' di fregio la superficie lapidea, uno spazio dove il simbolo è puro paradiso dipinto.
Nel IV secolo vi è l’acme: le scene figurate padroneggiano l’intero fondo bianco, mentre le decorazioni tendono al più colto virtuosismo (370-340 a.C.). Le maggiori innovazioni riguardano le tematiche, come il gioco funebre, preponderante sulla tomba maschile gentilizia. La “corsa con le bighe”, il “pugilato” come pure il “duello” fissano sulla parete in pietra il rituale tra il vincitore e i vinti, tra la vita e la morte. Ma quello che risulta capitale nel contesto funerario maschile è il “ritorno del guerriero” che con le armi nemiche rimpatria per essere accolto, acclamato.
Dei sepolcri femminili si notano programmi differenti: la donna di rango elevato viene fissata da scenette di gineceo o di prothesis. Le raffigurazioni, in genere bipartite, si spartiscono a più livelli. Le une sul piano frontonale e le altre sul registro inferiore ossia nella terza fascia a partire dallo zoccolo purpureo alla base. I valori formali sono minimi, ma non del tutto approssimativi. Il dipintore seppure denuncia un mediocre background formativo, nella sua scarsezza stilistica si sforza di penetrare nel “vivo” delle scene e di dominare appieno la delineazione degli ornati.
La narrazione, per tutto il complesso figurativo (maschile e femminile), è paratattica, bidimensionale, ma non per questo statica. Anche se la forma è compendiaria e lesta, nelle sepolture di entrambi i sessi si evidenzia una valida energia intensa: nel tema femminile di “esposizione del defunto” notevoli sono i dati espressionistici, soprattutto nei disperati gesti delle “piangenti” che circondano il letto funebre a mò di compianto. Che dire dell’affascinante scena della “partenza per il viaggio nell’al di là con la defunta introdotta da Caronte” sul triangolo della lastra est della Tomba 47 (350 a.C.): è qui che si è in grado di evidenziare come l’officina pestana in questione rincorre la ricercatezza del gusto narrativo e la profonda cultura rituale. “Il gesto pittorico come racconto del trapasso”, questo è da ricercare nelle lastre dipinte di Paestum che, dal buio alla luce custodiscono, allora come oggi, un duplice documento di vita e di morte.
PERIODI COMPLEMENTARI
Le tombe pestane si presentano come unità sepolcrali di svariate tipologie tra cui domina la formula a cassa, costituita da quattro lastre in pietra calcarea, due oblunghe per i lati maggiori e due brevi per i lati corti, mentre una quinta lastra è adibita a copertura. Molto spesso i lati brevi terminavano in una forma triangolare tale da conferire al banco superiore di chiusura la conformazione a doppio spiovente
Sarà bene introdurre che le pitture del caso pestano presentano all’unisono dati grafici indirizzati perlopiù a figure di alto rango (soldati, regine, personalità politiche etc.)
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