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sabato 28 febbraio 2015

Notizie sulla “chiesa ricettizia” di Potenza

di Carlo Maria Nardiello 

La chiesa ricettizia, diffusa nell’Italia meridionale, era una chiesa eretta in ente morale officiata da un collegio di sacerdoti. La chiesa era dotata di un patrimonio il cui reddito veniva diviso fra i membri del collegio. Posta sotto il patronato del fondatore (una famiglia o un comune) si rinnovava per cooptazione. Particolarmente evidente è il caso per la Basilicata dove oltre alle parrocchie anche i capitoli cattedrali di tutte le diocesi lucane erano di tale natura. Associazioni vere e proprie, la cui nomina dei partecipanti proveniva dal mondo laico, erano dotate di statuti, atti di fondazione, regolamenti, calendari, registri ecc., per un ottimale controllo dall’interno delle proprie svariate attività. Vennero inoltre distinte, sempre facendo riferimento a statuti creati ad hoc, chiese ricettizie “numerate” e chiese ricettizie “innumerate”, con evidente riferimento al numero chiuso o aperto, rispettivamente, circa gli iscritti. Ulteriore distinzione era tra “curate” o “semplici”, cioè a dire se avevano competenza in campo di cura delle anime o meno.
Appare esemplificativa la situazione “presso il Capitolo Cattedrale di Potenza che a partire dal 1221 fu costituito da tre dignità e nove canonici, ai quali nel 1742 se ne aggiunsero altri sei, si maturava more solito l’accesso ad un quarto di porzione dopo cinque anni di servizio nel coro, a metà quota dopo nove anni e all'intera partecipazione dopo undici (anni)”. Ma anche le due chiese collegiate di S. Michele e della Santissima Trinità erano ricettizie.
Il governo delle ricettizie si componeva di due momenti assembleari, ordinario e annuale. Il primo a scadenza settimanale, il venerdì o il sabato, e la relativa convocazione veniva affissa davanti la sagrestia.
In riferimento alla funzione educativa e formativa, de facto questa istituzione per lunghi periodi vennero vissute come alternative ai tradizionali seminari, infatti “motivazioni non sempre religiose a base della propria scelta di vita, l’anomalo percorso formativo, nonché la peculiarità strutturale della ricettizia, inducevano il clero ad avere come obiettivo prevalente la crescita e la possibile fruizione di beni e rendite della massa comune e con essa l'entità della propria quota capitolare annuale, peraltro con l'intento di poterla perpetuare per i propri familiari”.




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