di Francesco Mastrorizzi
Agli inizi degli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini si recò in Terra Santa per visitare e riprendere i luoghi della narrazione evangelica, allo scopo di stabilire le possibili location per un progetto cinematografico di trasposizione del Vangelo di Matteo. Il viaggio in Giordania, Galilea e Siria si protrasse per una quindicina di giorni, toccando in particolare Nazareth, Betlemme, Gerusalemme e Damasco. Un film documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina" testimonia quel pellegrinaggio alla ricerca dell'essenza del paesaggio e dei volti incontrati a suo tempo dal Cristo. Tuttavia, sin da subito, durante il viaggio, emerse in Pasolini la delusione per l'inadeguatezza di quei luoghi a rappresentare la sacralità del tempo, a causa dell'enorme squilibrio arrecato al territorio, alle popolazioni e al paesaggio da un selvaggio e incontrollato “progresso tecnologico”, rappresentato dall’espansione edilizia a Betlemme e dalla costruzione di grattacieli a Nazareth.
Agli inizi degli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini si recò in Terra Santa per visitare e riprendere i luoghi della narrazione evangelica, allo scopo di stabilire le possibili location per un progetto cinematografico di trasposizione del Vangelo di Matteo. Il viaggio in Giordania, Galilea e Siria si protrasse per una quindicina di giorni, toccando in particolare Nazareth, Betlemme, Gerusalemme e Damasco. Un film documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina" testimonia quel pellegrinaggio alla ricerca dell'essenza del paesaggio e dei volti incontrati a suo tempo dal Cristo. Tuttavia, sin da subito, durante il viaggio, emerse in Pasolini la delusione per l'inadeguatezza di quei luoghi a rappresentare la sacralità del tempo, a causa dell'enorme squilibrio arrecato al territorio, alle popolazioni e al paesaggio da un selvaggio e incontrollato “progresso tecnologico”, rappresentato dall’espansione edilizia a Betlemme e dalla costruzione di grattacieli a Nazareth.
Pasolini decise a quel punto di recarsi nel sud dell’'Italia, dove trovò i luoghi e le facce che potevano ricreare quegli ambienti che non aveva invece trovato in Palestina. In Basilicata, in Calabria e in Puglia la contaminazione provocata dallo sviluppo e dal benessere borghese non aveva ancora prodotto guasti irreparabili. La scelta delle aree povere del Mezzogiorno d’Italia dava, inoltre, una possibilità in più, quella di mostrare le attitudini del sottoproletariato meridionale, “muto testimone di una vicenda che lo vede subalterno, coro di figuranti anonimi e passivi, che soffrono e non lottano” (Piero Spila, Pier Paolo Pasolini, Gremese Editore, Roma, 1999).
Le riprese de “Il Vangelo secondo Matteo” furono realizzate in un’area territoriale compresa fra il Lazio e la Calabria. In Basilicata i set più importanti riguardarono Matera e Barile. Gerusalemme fu ambienta tra i sassi imbiancati dal sole di Matera, con il percorso della Via Crucis, la crocifissione e la resurrezione di Gesù, la travagliata fuga dell’apostolo Pietro dopo aver rinnegato Gesù, ma anche momenti delle predicazioni di Cristo. Sulla suggestiva murgia antistante i Sassi si svolse l’ultima parte della passione, dominata dall’entrata in scena della madre di Pasolini, Susanna Colussi, nel ruolo della Madonna anziana che seguiva il figlio verso il Golgota, assistendo poi disperata alla sua crocifissione, alla deposizione e accompagnandolo infine verso il sepolcro.
Il ruolo della Madonna giovane invece era stato affidato ad una ragazza calabrese, Margherita Caruso, che venne impegnata sul set di Barile. Nelle cantine scavate nella roccia del paese alle pendici del Vulture, Pasolini ambientò la natività a Betlemme, la visita dei re magi, la fuga in Egitto e la strage degli innocenti. I castelli medievali lucani servirono per rappresentare le dimore di Erode e Pilato, mentre Nazareth fu ricostruita nei dintorni di Potenza.
Nel 2006 la fotografa Giovanna Gammarota ha visitato gli stessi luoghi della Basilicata in cui il regista ha ambientato la vita di Gesù, spinta dal bisogno di verificare in prima persona, attraverso le proprie emozioni, se tali luoghi avevano conservato quella forza ancestrale e quella spiritualità di tipo estetico che comunicano nel film di Pasolini. Dalla particolare esperienza vissuta dall'artista sono nate immagini volutamente semplici e dirette, ma cariche di memoria, che testimoniano il trascorrere lento del tempo, il quale ha lasciato il paesaggio ancora lì, intatto, dopo oltre quattro decenni dalle riprese di quel film.
Trentacinque delle fotografie scattate nel corso di quel viaggio da parte di Giovanna Gammarota sono ora in esposizione, fino al 28 novembre, presso la Sala Santa Rita di Roma in una mostra fotografica dal titolo “Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del 'Vangelo secondo Matteo' di Pier Paolo Pasolini”. Promossa dall'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, la stessa mostra già nel 2007 è stata allestita a Carpi e a Milano.
Gli scatti riproducono campagne nude e aperte, colline coltivate a grano, grotte dall’aspetto preistorico, pareti spezzate di case distrutte e abbandonate, tutti secondo la personale visione dell’artista, caratterizzata dal tentativo di dare forma al vuoto e al silenzio, privileggiando i luoghi privi di orpelli superflui, in modo da svelare il paesaggio nella sua dimensione più minimale, che lo rende espressione della memoria.
Le riprese de “Il Vangelo secondo Matteo” furono realizzate in un’area territoriale compresa fra il Lazio e la Calabria. In Basilicata i set più importanti riguardarono Matera e Barile. Gerusalemme fu ambienta tra i sassi imbiancati dal sole di Matera, con il percorso della Via Crucis, la crocifissione e la resurrezione di Gesù, la travagliata fuga dell’apostolo Pietro dopo aver rinnegato Gesù, ma anche momenti delle predicazioni di Cristo. Sulla suggestiva murgia antistante i Sassi si svolse l’ultima parte della passione, dominata dall’entrata in scena della madre di Pasolini, Susanna Colussi, nel ruolo della Madonna anziana che seguiva il figlio verso il Golgota, assistendo poi disperata alla sua crocifissione, alla deposizione e accompagnandolo infine verso il sepolcro.
Il ruolo della Madonna giovane invece era stato affidato ad una ragazza calabrese, Margherita Caruso, che venne impegnata sul set di Barile. Nelle cantine scavate nella roccia del paese alle pendici del Vulture, Pasolini ambientò la natività a Betlemme, la visita dei re magi, la fuga in Egitto e la strage degli innocenti. I castelli medievali lucani servirono per rappresentare le dimore di Erode e Pilato, mentre Nazareth fu ricostruita nei dintorni di Potenza.
Nel 2006 la fotografa Giovanna Gammarota ha visitato gli stessi luoghi della Basilicata in cui il regista ha ambientato la vita di Gesù, spinta dal bisogno di verificare in prima persona, attraverso le proprie emozioni, se tali luoghi avevano conservato quella forza ancestrale e quella spiritualità di tipo estetico che comunicano nel film di Pasolini. Dalla particolare esperienza vissuta dall'artista sono nate immagini volutamente semplici e dirette, ma cariche di memoria, che testimoniano il trascorrere lento del tempo, il quale ha lasciato il paesaggio ancora lì, intatto, dopo oltre quattro decenni dalle riprese di quel film.
Trentacinque delle fotografie scattate nel corso di quel viaggio da parte di Giovanna Gammarota sono ora in esposizione, fino al 28 novembre, presso la Sala Santa Rita di Roma in una mostra fotografica dal titolo “Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del 'Vangelo secondo Matteo' di Pier Paolo Pasolini”. Promossa dall'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, la stessa mostra già nel 2007 è stata allestita a Carpi e a Milano.
Gli scatti riproducono campagne nude e aperte, colline coltivate a grano, grotte dall’aspetto preistorico, pareti spezzate di case distrutte e abbandonate, tutti secondo la personale visione dell’artista, caratterizzata dal tentativo di dare forma al vuoto e al silenzio, privileggiando i luoghi privi di orpelli superflui, in modo da svelare il paesaggio nella sua dimensione più minimale, che lo rende espressione della memoria.
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