Comunicato stampa
Vianuova arte contemporanea presenta la settima collettiva del ciclo di mostre dal titolo La distanza è una finzione a cura di Lorenzo Bruni. La collettiva, inaugurata lo scorso 18 dicembre con il titolo white balance - Fears for tears rock joke, ruota attorno all'idea di limite/confine da superare e ricreare e sul linguaggio cinematografico dell'idea di sospensione.
Nell'ambiente cinematografico, white balance è l'atto di calibrare la telecamera su un foglio di carta bianco prima di fare le riprese in ambienti "naturali" e non in studio. Negli ultimi dieci anni, in questa nostra "modernità liquida", la parola indica un programma computerizzato che attraverso una serie di algoritmi permette, in post produzione e in modo quasi automatico, di ridefinire le immagini e tararle nel modo giusto a seconda del tipo di pubblicazione o format cui sono destinate. Gli artisti che partecipano alla mostra white balance non puntano con la loro ricerca all'immagine perfetta, bensì utilizzano le immagini distribuite normalmente dall'informazione per riflettere su come il normale cittadino percepisce questi messaggi e forme. Il passaggio da creatori a distributori d'immagini, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, li ha portati a riflettere sulla normalizzazione delle immagini, sempre uguali e sempre diverse, guardando non all'idea di norma ma a quella di stereotipo. Quest'ultimo è frutto di un luogo comune e come tale sembra essere il punto di partenza perfetto per riflettere sullo stato della nostra memoria collettiva aprendo un dialogo sulla nostra identità; invece, la normalizzazione delle immagini possiamo accettarla e basta. Il tramonto che da sempre è associato ad un sentimento di struggimento, il cielo che da sempre è associato all'idea di libertà e usato poi per pubblicizzare mete di viaggi esotici e lontani, le vedute delle piazze italiane come mito della diversità e delle infinite sfaccettature di un paese che non riesce mai a trovare una vera unità sono solo alcuni dei luoghi comuni che questi artisti accolgono e cercano di affrontare in prima persona. Rapportarsi ad un immaginario ben preciso è un modo per loro di andare oltre alla superficie dell'immagine stessa e mettere in evidenza una possibile esperienza specifica che possiamo vivere in quel dato contesto. Mandla Reuter (Nqutu, 1975, vive e lavora a Berlino) realizza un'opera site specific con dei poster fruibili nello spazio urbano in cui non c'è niente da vedere perché sono saturi di colore fino a tendere al nero. L'artista riflette sul rischio di paralisi in cui incorriamo, saturati da troppi dati e illusi che la quantità possa corrispondere ad una concreta democratizzazione dell'informazione. Ma l'artista non si limita a sottolineare il problema: le immagini negate, distese su tutta la parete di Via Nuova, evidenziano l'architettura e il suo contenitore, coprendo la superficie del muro e mettendo in luce al contempo le sue varie conformazioni. Marinella Senatore (Cava dei Tirreni, Italia, 1977. Vive e lavora a Madrid) sembra tramutare la galleria in un set fotografico, in una critica alla moda di usare la cultura come nuova industria del divertimento fine a sé stesso. In realtà l'opera non è nel portare un'ambientazione marittima dentro un contesto diverso quanto nel mettere in evidenza come quell oggetto/immagine può essere visto diversamente solo attraverso una illuminazione particolare. L'opera è la luce, il faro che la illumina e che rende la scenografia e una superficie da superare per avere maggiore coscienza dell'esperienza dello spazio e dell'arte. Il video The Archipelago on Tour di Aurélien Froment (Angers, Francia, 1976. Vive e lavora a Los Angeles) presenta uno spettatore/attore che all'interno di uno studio si trova alle prese con il passepartout che incornicia tre immagini da desiderare di raggiungere. Il video, silenzioso tra il metafisico e le scene comiche della tradizione del cinema muto alla Monsieur Hulot, termina con il riposizionamento del passepartout sulle tre immagini dopo che è stato attraversato dallo spettatore stesso nel tentativo di sfatare il mito della cornice o dello schermo magico televisivo, conferendogli una sua aura. Le foto realizzate da Enrico Vezzi (Firenze, 1979. Vive e lavora a San Miniato) all'interno di uno spazio non accessibile di Via Nuova documentano l'assenza e la presenza dell'artista stesso rispetto a quel luogo che presenta uno squarcio di luce verso l'esterno. La presenza umana diviene quasi superflua rispetto alla manifestazione del desiderio di uno spazio altro rappresentato dalla luce, lo spazio della condivisione delle piazze, che ormai si configurano come luoghi mitici.
Andare oltre la superficie dell'immagine, renderla un mezzo per l'esperienza in quel dato luogo in cui è osservata e fruita, è un modo per colmare la distanza tra spettatore e immagine stessa. Ma significa anche colmare la distanza tra la memoria storica e il punto da cui ne possiamo discutere, nel quale si posizionano gli artisti. Per il progetto l'aria d'un paese Enrico Vezzi realizza una scultura con due ventilatori che sfogliano e rianimano un libro del touring club del 1956, che racchiude l'immaginario dell'utopia di un'Italia pittoresca che attirava turisti eccellenti negli anni del boom economico. È necessario confrontarsi con quel tipo d'idea senza malinconia adesso. Nei disegni di Vezzi ci sono quelle stesse immagini, frutto di uno sguardo sul reale che non esiste più, mischiate alla sua stessa immagine che osserva il contesto. Questa idea di responsabilizzarsi e confrontarsi con le aspettative del passato è portata avanti anche da Marinella Senatore, che presenta per la prima volta un'installazione con quadri le cui atmosfere si rifanno al linguaggio filmico da Antonioni a Guns Van Sant. Per Reuter e Froment, invece, la distanza può essere colmata lasciando emergere il processo con cui sono realizzate le immagini, che rende immediatamente cosciente e attivo lo spettatore sul cosa guarda e come. Per questa occasione, lo spazio di Via Nuova pullulerà quindi di immagini o immaginari collettivi che si fanno luoghi o set da vivere e che hanno senso solo se esperiti. Infatti, la mostra white balance, oltre ad essere una mostra sulla natura delle immagini è una riflessione sulla responsabilità che abbiamo tutti noi, come spettatori e come cittadini, nel come percepiamo e di come reagiamo alle informazione e alle immagini nella nostra quotidianità.
Vianuova arte contemporanea presenta la settima collettiva del ciclo di mostre dal titolo La distanza è una finzione a cura di Lorenzo Bruni. La collettiva, inaugurata lo scorso 18 dicembre con il titolo white balance - Fears for tears rock joke, ruota attorno all'idea di limite/confine da superare e ricreare e sul linguaggio cinematografico dell'idea di sospensione.
Nell'ambiente cinematografico, white balance è l'atto di calibrare la telecamera su un foglio di carta bianco prima di fare le riprese in ambienti "naturali" e non in studio. Negli ultimi dieci anni, in questa nostra "modernità liquida", la parola indica un programma computerizzato che attraverso una serie di algoritmi permette, in post produzione e in modo quasi automatico, di ridefinire le immagini e tararle nel modo giusto a seconda del tipo di pubblicazione o format cui sono destinate. Gli artisti che partecipano alla mostra white balance non puntano con la loro ricerca all'immagine perfetta, bensì utilizzano le immagini distribuite normalmente dall'informazione per riflettere su come il normale cittadino percepisce questi messaggi e forme. Il passaggio da creatori a distributori d'immagini, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, li ha portati a riflettere sulla normalizzazione delle immagini, sempre uguali e sempre diverse, guardando non all'idea di norma ma a quella di stereotipo. Quest'ultimo è frutto di un luogo comune e come tale sembra essere il punto di partenza perfetto per riflettere sullo stato della nostra memoria collettiva aprendo un dialogo sulla nostra identità; invece, la normalizzazione delle immagini possiamo accettarla e basta. Il tramonto che da sempre è associato ad un sentimento di struggimento, il cielo che da sempre è associato all'idea di libertà e usato poi per pubblicizzare mete di viaggi esotici e lontani, le vedute delle piazze italiane come mito della diversità e delle infinite sfaccettature di un paese che non riesce mai a trovare una vera unità sono solo alcuni dei luoghi comuni che questi artisti accolgono e cercano di affrontare in prima persona. Rapportarsi ad un immaginario ben preciso è un modo per loro di andare oltre alla superficie dell'immagine stessa e mettere in evidenza una possibile esperienza specifica che possiamo vivere in quel dato contesto. Mandla Reuter (Nqutu, 1975, vive e lavora a Berlino) realizza un'opera site specific con dei poster fruibili nello spazio urbano in cui non c'è niente da vedere perché sono saturi di colore fino a tendere al nero. L'artista riflette sul rischio di paralisi in cui incorriamo, saturati da troppi dati e illusi che la quantità possa corrispondere ad una concreta democratizzazione dell'informazione. Ma l'artista non si limita a sottolineare il problema: le immagini negate, distese su tutta la parete di Via Nuova, evidenziano l'architettura e il suo contenitore, coprendo la superficie del muro e mettendo in luce al contempo le sue varie conformazioni. Marinella Senatore (Cava dei Tirreni, Italia, 1977. Vive e lavora a Madrid) sembra tramutare la galleria in un set fotografico, in una critica alla moda di usare la cultura come nuova industria del divertimento fine a sé stesso. In realtà l'opera non è nel portare un'ambientazione marittima dentro un contesto diverso quanto nel mettere in evidenza come quell oggetto/immagine può essere visto diversamente solo attraverso una illuminazione particolare. L'opera è la luce, il faro che la illumina e che rende la scenografia e una superficie da superare per avere maggiore coscienza dell'esperienza dello spazio e dell'arte. Il video The Archipelago on Tour di Aurélien Froment (Angers, Francia, 1976. Vive e lavora a Los Angeles) presenta uno spettatore/attore che all'interno di uno studio si trova alle prese con il passepartout che incornicia tre immagini da desiderare di raggiungere. Il video, silenzioso tra il metafisico e le scene comiche della tradizione del cinema muto alla Monsieur Hulot, termina con il riposizionamento del passepartout sulle tre immagini dopo che è stato attraversato dallo spettatore stesso nel tentativo di sfatare il mito della cornice o dello schermo magico televisivo, conferendogli una sua aura. Le foto realizzate da Enrico Vezzi (Firenze, 1979. Vive e lavora a San Miniato) all'interno di uno spazio non accessibile di Via Nuova documentano l'assenza e la presenza dell'artista stesso rispetto a quel luogo che presenta uno squarcio di luce verso l'esterno. La presenza umana diviene quasi superflua rispetto alla manifestazione del desiderio di uno spazio altro rappresentato dalla luce, lo spazio della condivisione delle piazze, che ormai si configurano come luoghi mitici.
Andare oltre la superficie dell'immagine, renderla un mezzo per l'esperienza in quel dato luogo in cui è osservata e fruita, è un modo per colmare la distanza tra spettatore e immagine stessa. Ma significa anche colmare la distanza tra la memoria storica e il punto da cui ne possiamo discutere, nel quale si posizionano gli artisti. Per il progetto l'aria d'un paese Enrico Vezzi realizza una scultura con due ventilatori che sfogliano e rianimano un libro del touring club del 1956, che racchiude l'immaginario dell'utopia di un'Italia pittoresca che attirava turisti eccellenti negli anni del boom economico. È necessario confrontarsi con quel tipo d'idea senza malinconia adesso. Nei disegni di Vezzi ci sono quelle stesse immagini, frutto di uno sguardo sul reale che non esiste più, mischiate alla sua stessa immagine che osserva il contesto. Questa idea di responsabilizzarsi e confrontarsi con le aspettative del passato è portata avanti anche da Marinella Senatore, che presenta per la prima volta un'installazione con quadri le cui atmosfere si rifanno al linguaggio filmico da Antonioni a Guns Van Sant. Per Reuter e Froment, invece, la distanza può essere colmata lasciando emergere il processo con cui sono realizzate le immagini, che rende immediatamente cosciente e attivo lo spettatore sul cosa guarda e come. Per questa occasione, lo spazio di Via Nuova pullulerà quindi di immagini o immaginari collettivi che si fanno luoghi o set da vivere e che hanno senso solo se esperiti. Infatti, la mostra white balance, oltre ad essere una mostra sulla natura delle immagini è una riflessione sulla responsabilità che abbiamo tutti noi, come spettatori e come cittadini, nel come percepiamo e di come reagiamo alle informazione e alle immagini nella nostra quotidianità.
Titolo mostra: white balance - Fears for tears rock joke
A cura di: Lorenzo Bruni
Sede: Via Nuova Srl, Via del Porcellana n. 1/R, 50123, Firenze, Italy
Durata: fino al 18 aprile 2009
Artisti in mostra: Aurélien Froment, Mandla Reuter, Marinella Senatore, Enrico Vezzi
Orari: dal lunedì al venerdì ore 10-13, 15-19
A cura di: Lorenzo Bruni
Sede: Via Nuova Srl, Via del Porcellana n. 1/R, 50123, Firenze, Italy
Durata: fino al 18 aprile 2009
Artisti in mostra: Aurélien Froment, Mandla Reuter, Marinella Senatore, Enrico Vezzi
Orari: dal lunedì al venerdì ore 10-13, 15-19
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