venerdì 27 marzo 2009

Il Caravaggio Napoletano. Cristologia e nobili committenze

di Gianmatteo Funicelli

Collocato in uno spazio dominante della grandiosa quadreria presso il Museo di Capodimonte, la fortunata Flagellazione di Cristo enuncia i primi rapporti artistici del Caravaggio verso le committenze napoletane. Anche se le rarissime fonti non fanno chiaramente luce sullo spirito dell’artista nel suo soggiorno a Napoli, si ricordano altre espressioni pittoriche come La Madonna del Rosario del 1607, voluta dal pittore fiammingo Louis Finson e da questi trasferita nei Paesi Bassi per poi passare definitivamente nel patrimonio del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Non si può non ricordare inoltre un capolavoro del primo Caravaggio partenopeo, quale la meravigliosa pala del Pio Monte della Misericordia, titolato Le sette opere di Misericordia, vero traguardo avanguardistico della pittura seicentesca italiana, e per sperimentazione iconografica e per il tema affrontato.
La lente d’ingrandimento sulla flagellazione di Capodimonte, oltre ad essere una proposta di studio dell’intero complesso museale, ci riporta sulla modesta comprensione dell’equilibrio stilistico e del grande valore artistico che Caravaggio attinge dalla Napoli di inizio Seicento. L’opera si presenta maggiormente composta e meno drammatica delle altre napoletane (forse perché si allontana dallo schema del realismo napoletano), in quanto rappresenta il preludio della terribile flagellazione alla colonna. Il pittore attira l’occhio sbarrato dell’osservatore nel momento in cui i carnefici legano il Cristo alla colonna, presentandoci gli ultimi attimi che precedono il sangue e il dolore dell’uomo.
Attraverso le fonti del Bollori apprendiamo che l’opera fu realizzata per la cappella della famiglia De Franchis in San Domenico Maggiore a Napoli, verso la fine della prima esperienza napoletana, quindi nel maggio del 1607. Per questa realizzazione pubblica il maestro si ispira alla classica iconografia affrontata da Sebastiano del Piombo e da Tiziano. Il dipinto si presenta centrale e di pochi elementi, la luce e l’essenzialità della scena. Organizzato completamente intorno alla possente colonna, il Cristo campeggia in una esile e fluttuante figura, l’unica illuminata per intero, mentre la forza e la tenacia degli aguzzini tutti intorno si muovono in uno sbrigativo rapporto di gestualità ed attese accennate dalla luce teatrale, puramente identificativa. È la luce infatti a definire le limpide carni sacre del Cristo in contrasto a quelle sozze e macilenti dei torturatori. Il dramma percorre tutto lo spazio attraverso pugni, nodi di corde e tensioni muscolari. Da notare è l’operazione del terzo aguzzino in basso sulla sinistra, che si appresta a preparare la sferza con la quale violenterà il Sacro Corpo. Nelle mani e nell’attesa del personaggio vi sono gli ultimi attimi che precedono la terribile punizione del giudeo.
Durante l’esecuzione del dipinto la scena venne modificata per l’inserimento di un ulteriore personaggio, previsto sotto la spalla del carceriere di destra: le radiografie presentano un volto ben definito con gli occhi rivolti verso il Cristo, forse del committente Tommaso de Franchis. Il volto venne eliminato dal saggio maestro per non alterare l’essenzialità scenografica dell’opera, la quale vive tutt’oggi nella sua purezza e rasserenata simbologia cristiana in uno spazio di fondo di una delle gallerie più importanti d’Europa.

Immagine: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Flagellazione di Cristo, 1607-1608, olio su tela, 286 × 213 cm, Napoli, Museo di Capodimonte

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