domenica 20 febbraio 2011

La donna leonardesca

di Sonia Gammone

Il Quattrocento volge al termine quando Leonardo da Vinci si trasferisce a Milano. Il periodo milanese (1482-1499) sarà il più importante e significativo di tutta la sua vita. Alla corte di Ludovico il Moro egli potrà dedicarsi in maniera esclusiva alle sue opere e alle sue invenzioni, creando in pittura i suoi massimi capolavori. Per Leonardo il compito principale dell’artista è l’esplorazione della natura considerata come un immenso essere vivente e la pittura, la più importante delle arti, l’unica in grado di rappresentarla. Il sottile chiaroscuro e la capacità di cogliere gli affetti umani sono alla base del suo naturalismo pittorico. Creatore di una tecnica sfumata, con delicati contrasti di luce e di ombra che fanno sparire i contorni e creano un’illusione di atmosfera e di vita nella scena rappresentata.
Furono molte e stupende le opere a soggetto sacro nelle quali è possibile ravvisare il percorso di perfezionamento che egli intraprese fin da giovanissimo, quando a Firenze passava le sue giornate nella bottega del Verrocchio. Ma altrettanto celebri rimangono i ritratti che a più riprese gli vennero commissionati. Al periodo milanese appartengono quelli di due donne aristocratiche vicine a Ludovico il Moro: il ritratto di Cecilia Gallerani, meglio noto come La dama con l’ermellino (1488-1490), e La Belle Ferronière (1495-1498) identificata da alcuni come Lucrezia Crivelli o la stessa Cecilia Gallerani in età più adula. Cecilia Gallerani era l’amante di Ludovico il Moro. L’ermellino oltre ad essere simbolo di purezza, allude al cognome della stessa Cecilia Gallerani e allo stesso Ludovico il Moro, di cui era emblema. Leonardo studia attentamente la luce, che cade sul viso e sulla spalla della dama, e la figura, dal viso voltato a guardare fuori campo. Sono stati curati tutti i dettagli, dai capelli ai gioielli, ai colori sgargianti del vestito. I suoi lineamenti sono dolci e delicati, gli occhi fieri, il sorriso accennato appena ricorda quello della Gioconda, le mani sono lunghe e affusolate. Il ritratto sembra essere lontano sia da connotati erotici, legati alla sua figura di amante, sia da quelli sacri che l’avrebbero voluta triste, in continuo rimando alla figura della Madre di Dio. Quello che emerge è una donna che sembra aver raggiunto una grande apertura mentale e intellettuale, che guarda all’uomo senza sottomissione. Per quanto riguarda La Belle Ferronière, oltre all’innovativo taglio dato alla figura, colpiscono la profondità e il fascino dello sguardo che sembra diretto allo spettatore.
A distanza di anni, e lontano da Milano, Leonardo darà vita a quella che è considerata il suo capolavoro assoluto: la Gioconda (1503-1516). L’identità della donna è ancora motivo di dibattito, tuttavia i più ritengono si tratti di Monna Lisa, moglie di Francesco del Giocondo. Il mistero che avvolge l’opera, si riflette da sempre in quell’interesse collettivo per l’enigmaticità dello sguardo e del sorriso. Qui lo sfumato leonardesco raggiunge la perfezione, la luce che giunge dallo sfondo ha i toni del crepuscolo e rende tutto quasi sfocato. L’immagine è misterioso, ambigua, sfuggente, perché Leonardo ha volutamente lasciato indefinite alcune parti del volto immergendole in una morbida penombra. La figura è intimamente legata alla natura del paesaggio. La grande sfida di Leonardo di rendere con massima veridicità e naturalismo i propri modelli, giunge al culmine e ancora una volta, nella storia dell’arte, la donna ne è protagonista. “…la pittura…penetra dentro ai medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù” (da Il trattato della pittura, di L. da Vinci).

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