Sottrarsi al mondo sottraendosi corpo. Io l’ho fatto, digiunando. Sottrarsi al mondo sottraendosi cibo, mediante violentissime pratiche espiatorie. Io l’ho fatto, vomitando. Per anni e anni e anni, che non so più neppure contarli. Io che invece contavo tutto, prigioniera di un’alienante matematica del desiderio: quell’intransigenza anoressica che mi imponeva di vivere in un regime totalitario. O tutto o niente. Questa la regola assolutista.
Anni sospesi a cercare un
improbabile equilibrio tra l’ipercontrollo anoressico e la perdita di controllo
bulimica. Anni vissuti nel recinto di un perimetro triangolare che era tempio e
cella al tempo stesso. Il luogo della mia lontananza. Il luogo che mi rendeva
impermeabile al contatto. Che mi difendeva dall’altro. Dalla minaccia
dell’altro. E dal rischio di vivere. Il luogo in cui il cibo non era più cibo,
ma metafora di quel nutrimento d’amore cui non mi legittimavo e che mi
costringevo a non desiderare. Anni e anni a convincermi che dell’amore si potesse
fare a meno come del cibo; che dell’amore si potesse arrivare a non aver
bisogno, come del cibo.
Digiunare era diventata una
scelta catartica: un supremo atto di volontà. Ma quando quella fame bestiale si
destava, divorandomi e spingendomi a svaligiare dispense per riempire i miei
vuoti, il senso di smarrimento che ne risultava era a dir poco rovinoso.
Allora, autoindurmi il vomito significava azionare un effetto-rewind. Tornare
all’istante in cui ancora non avevo ceduto al bisogno. O al desiderio. Tornare
al bianco estremo della vuotezza. Abitando lo specchio della dismorfofobia.
Il corpo incastrato nella
dicotomia anoressico-bulimica è un corpo rotto. È un corpo leso. È un corpo
incastrato tra due frammenti di uno specchio spezzato. È un corpo esploso nel
proprio riflesso. È un corpo tagliato e ferito. È un corpo ingombrante e
imperfetto. È il risultato della propria immagine riflessa nello specchio
infranto dell’altro.
Duce di me stessa fino a
rischiare la morte. 39 chli, 43 battiti cardiaci al minuto, i precipizi tra le
costole. E ancora pensavo di dover diminuire. Diminuire fino a non esistere. Anoressia,
Bulimia, Binge Eating sono espedienti autodistruttivi, ricercati per
sopravvivere a tutto il resto. Per tentare di governare il vuoto. Per provare a
non sprofondare. Sono tra i più pericolosi sintomi dell’alienazione
contemporanea. I rituali ossessivi anoressico-bulimici si consumano nel più
estraniante degli isolamenti. E soprattutto nella vergogna. Quel vuoto che si è
incapaci di gestire, quel dolore che si è incapaci di governare, quella
frattura nel luogo dell’amore, diviene terreno fertile per l’insorgenza di una
patologia che può rivelarsi mortale. Perché di anoressia e bulimia si muore.
Il cibo rifiutato, poi cercato,
divorato, vomitato e ancora allontanato e poi ulteriormente afferrato, abusato
e rigettato, presentifica il circolo vizioso di un dolore irrisolvibile, ma che
nel cibo-non-cibo trova il suo strumento
di tortura e parimenti la sua soluzione. Si tratta di una compulsione a
ripetere che devasta prima l’anima, poi
la mente ed infine il corpo, gli organi interni, sino a condurre alla morte (in
Italia anoressia e bulimia colpiscono oggi circa duecentomila donne e sono la
prima causa di morte in una fascia di età compresa tra i 12 e i 25 anni).
Ma un disturbo del comportamento
alimentare non è mai un disturbo dell’alimentazione, causato dall’alimentazione
e risolvibile con una educazione alimentare. No. È un piuttosto un disturbo del
comportamento, dell’affettività, della relazione. È una patologia dell’amore. Non
è dunque l’alimentazione ad essere disturbata, ma il comportamento. E il modo
in cui questa viene ossessivamente vissuta e distorta diviene sintomo di un
malessere di altra natura.
IO SOTTRAGGO, un progetto
itinerante e totalmente autobiografico, abbraccia il progetto artistico
itinerante ALIENS – LE FORME ALIENANTI DEL CONTEMPORANEO di Frattura
Scomposta, per raccontare una delle
patologie alienanti più diffuse nella contemporaneità, attraverso una
performance che causticamente agisce come un
grido contro il silenzio di chi non sa e non vuole vedere, di chi
sceglie di non capire.
IO SOTTRAGGO vi costringe a guardare
nel perimetro triangolare di questa verità.
IO SOTTRAGGO è un atto di
coraggio che mira a combattere la vergogna e
l’omertà. In nome di una verità che vive rovesciata dall’altra parte
dello specchio. (Giovanna Lacedra)
Titolo: Io sottraggo. La
triangolazione cibo-corpo-peso
Performance Confessional sulla
patologia anoressico-bulimica di Giovanna Lacedra
Live performance: sabato 18
maggio 2013, ore 20.00
Per: Aliens – Le forme alienanti
del contemporaneo
Palazzo Pirola, Piazza della
Repubblica 1, Gorgonzola (MI)
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