Quanto può ancora l’uomo moderno, così costantemente
martellato da immagini e suoni, meravigliarsi e godere appieno di
fronte alle opere di Andy Warhol? Ancora molto. L’affluenza alla
mostra Vetrine, organizzata da Achille Bonito Oliva presso il Palazzo
delle Arti di Napoli, ne è stata la prova, la conferma positiva.
La mostra, conclusasi lo scorso 20 luglio ed inaugurata il 18
aprile, ha ricordato al pubblico lo stretto rapporto che Warhol ebbe
con Napoli a partire dagli anni ‘70, grazie all’amicizia con il
gallerista Lucio Amelio. Ad emergere il carattere eclettico
dell’artista, l’enorme dimestichezza nel muoversi fra mondi
diversi: la pittura, la musica, il giornalismo, la moda. 150 opere di
varia natura, di colori e materiali differenti, esposte sui due
piani del PAN, dagli schizzi realizzati come cover di album musicali
– celeberrima è quella dei Rolling Stones – alle immagini
disegnate per la rivista Interview Magazine, fondata dallo stesso
Warhol nel 1969, rivista di celebrità che apre la strada ai nostri
settimanali commerciali.
In esposizione anche ritratti di personaggi noti sulla scena
culturale del tempo, conosciuti durante le sue visite in Italia:
Ernesto Esposito, Graziella Lonardi Buontempo, personaggi noti ed
uomini e donne senza tempo, come Jacqueline Kennedy. La potenza
mediatica del gigante della Popular art americana si vede tutta nella
ripetizione seriale, di volti come di oggetti, dai visi variamente
dipinti di Marilyn Monroe alla ripetizione serigrafica dei barattoli
di zuppa Campbell. Qui irrompe il messaggio e la filosofia della Pop
art, la volontà di svuotare l’arte dal suo consolidato contenuto
elitario, diventare qualcosa di accessibile a tutti, vicina,
economica, esattamente come una lattina di Coca Cola, insomma un’arte
per tutti, un cosa tipicamente americana («L’idea dell’America
è cosi bella perché quanto più una cosa è livellata, tanto più è
americana»).
A chiudere la mostra due opere d’eccezione che segnano il suo
legame con Napoli: le raffigurazioni del Vesuvio, note oramai a
tutti, immagini dalle cromie diverse, identiche se non per invisibili
variazioni. Il vedutismo accademico viene quindi superato con
violenza cromatica, imprimendosi nel bagaglio culturale di ognuno.
Urgenza espressiva nei quadri come sui giornali. Il disperato Fate presto chiude la mostra, il titolo suggerito da Warhol sulla prima
pagina del Mattino del 26 novembre 1980, un urlo di dolore, una
richiesta d’aiuto, pochi giorni dopo il terremoto dell’Irpinia,
due sole parole, in stampato nero che in modo lucido e conciso
rendono la drammaticità dell’evento e che solo un grande genio
della comunicazione di massa poteva suggerire a quei tempi.
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