Visualizzazione post con etichetta mostre scultura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mostre scultura. Mostra tutti i post

giovedì 28 maggio 2015

Marco Borgianni. Dei e eroi

[Comunicato stampa] Il Comune di Siena espone ai Magazzini del Sale presso il Palazzo Pubblico una mostra monografica di Marco Borgianni, artista poliedrico dedito alla pittura e alla scultura, nato a Vico d’Elsa nel 1946, ma figlio artistico di Siena dove ebbe luogo la sua prima formazione giovanile, presso l’Istituto d’Arte della città in cui si diplomò maestro d’arte in ceramica, e dove, ancora studente, esordì con una mostra alla Galleria “Nuova Aminta”.
Nel 1967 frequentò la Facoltà di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, sotto la guida di Ugo Capocchini; in questi anni prese parte a vari concorsi indetti in Toscana vincendo anche considerevoli premi, mentre nel 1970 fu tra i fondatori della rassegna d’arte contemporanea “Vico Arte” che ebbe tra i suoi espositori artisti come Guttuso, Treccani, Maccari, Murer e Zancanaro
La crescita artistica di Borgianni lo ha visto fino dagli anni Ottanta del secolo scorso affermarsi nel panorama internazionale con nuove esposizioni in Italia, in Marocco (Rabat), in Francia (Auvers sur oise, Parigi, Reims, Grenoble), in Svizzera (Ginevra) ed oltreoceano in Canada e in Giappone.
Nel 1992 l’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco ospitò una sua mostra personale che gli conferì ulteriore fama e visibilità nel mondo della critica e del mercato.
Gli ambiti espressivi indagati da Borgianni nel corso della sua attività sono stati parimenti la natura e il corpo umano.
La natura e la forza che sprigionano sono state oggetto di rappresentazione che, negli anni Novanta del ‘900 quando l’artista si recò in America, riservò ai paesaggi selvaggi e aridi del Gran Canyon e alle infinite valli andine, opere in cui prevalgono i colori ocra, cenere, le terre, alle quali contrastano la luminosità del giallo oro o di un nero splendente: una visione frutto dell’interpretazione intima dell’artista, esaltato davanti a tanta potente bellezza e al tempo stesso sgomento, come soggiogato dalla stessa.
Il rapporto con la natura che Borgianni mostra invece negli olii su tavola degli inizi del decennio scorso sembra virato a una pacata e pacificata contemplazione, che ritrae quasi calligraficamente i dettagli di angoli di stagni e acquitrini sui quali si rifrangono carichi di brillante colore fasci di giunchi e foglie.
Per introdurre il secondo ambito espressivo ritratto da Borgianni, il corpo umano, è necessario ribadire il suo legame con la Toscana, propria terra di nascita e formazione, e con Siena in particolare, che si ripropone con questa mostra dopo più di cinquanta anni dalla sua prima esposizione in città, anche se già nel 1997 si era ribadito con la realizzazione del drappo per il Palio dell’Assunta.
Ma il legame importante è anche e soprattutto quello con la tradizione artistica toscana, con i suoi grandi maestri rinascimentali, primo fra tutti Jacopo della Quercia e Michelangelo, e i loro capolavori e quanto della classicità reinterpretata sprigionano. Tutto questo Borgianni lo evidenzia in particolare nella serie di immagini dipinte con una tecnica e una resa molto originale, dove le imponenti figure sono come dilavate dal colore che le esalta, ma al tempo stesso sembra volerle negare “… quasi una marcia trionfale di dei e di eroi che tuttavia la tecnica pittorica consuma, oblitera, in parte contraddice e cancella.” (Antonio Paolucci), ma che svelano e conservano il segreto della Bellezza.
Come abbiamo ricordato in apertura Borgianni è anche scultore e modella figure in legno, ceramica, gesso, bronzo patinato che abbiamo modo di apprezzare in mostra.
Il soggetto prediletto in questo caso è la figura femminile. La nudità del corpo della donna dove nella plasticità delle pose sono esaltate le forme rotondeggianti dei fianchi, delle natiche e delle cosce che richiamano il mito arcaico della fertilità della dea madre, della terra generatrice di vita, con la sua fisicità dirompente, la sua giocosa armonia.
I corpi femminili sono spesso ripiegati e raccolti su se stessi, come conclusi in una spirale espressa attraverso l'abbraccio delle gambe e la torsione della testa in un segno di chiusura e di difesa, quasi a simboleggiare uno scrigno che custodisce il più prezioso miracolo del mondo, quello della vita di cui il corpo femminile è portatore e simbolo.
Queste sculture sono comunque anche inno alla bellezza, all'accoglienza morbida e generosa dei corpi femminili che, quando visti eretti e frontali, mostrano una grande fierezza e potenza nell'incedere, caratteristiche del mondo femminile che evidentemente l'artista sente e manifesta profondamente nelle sue creazioni e gli riconosce.

Titolo: Marco Borgianni. Dei e eroi
A cura di: Maria Siponta De Salvia
Sede: Siena, Palazzo Pubblico, Magazzini del Sale
Periodo: 30 maggio - 23 agosto 2015
Orari: tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Ingresso: libero
Catalogo: Silvana Editoriale

mercoledì 6 maggio 2015

Chadwick. Retrospettiva per due giardini

[Comunicato stampa] Lynn Chadwick (1914 -2003) è stato uno dei più importanti scultori della sua generazione e uno dei maestri della scultura britannica della metà del secolo scorso. Le sue opere sono parte delle collezioni dei maggiori musei del mondo come MoMA New York, Tate Gallery Londra e Centre Georges Pompidou a Parigi. I primi riconoscimenti internazionali arrivarono nel 1952 quando prese parte alla collettiva che presentò al mondo intero la nuova generazione di scultori britannici alla Biennale di Venezia, dove due edizioni dopo, nel 1956, ricevette il premio internazionale per la scultura. Iniziò da quel momento un percorso di grande importanza a livello internazionale che lo vide protagonista alla Biennale di San Paolo e con mostre nelle più importanti istituzioni a New York, Parigi, Bruxelles
Il progetto pensato per il Museo del Giardino di Boboli e il Giardino Bardini prevede il posizionamento in totale di 24 sculture che saranno disposte nei due parchi andando a creare un percorso di visita e scoperta tenendo al centro l’interesse per l’orografia e le caratteristiche monumentali e scenografiche dei due siti.
La possibilità di esporre le sculture di Lynn Chadwick nei due giardini fiorentini si lega fortemente con l’opera definitiva di costruzione di un parco per le sculture realizzato dall’artista inglese a Lypiatt Park in Inghilterra dove sono conservate la quasi totalità delle opere selezionate per il progetto fiorentino.
Il rapporto tra natura e artificio è alla base della creazione del Giardino di Boboli e la progressiva integrazione tra due istanze come l’architettura di giardini e la scultura hanno trovato nel parco della reggia medicea uno dei massimi compimenti. Tale evidenza si ripresenta nel Giardino Bardini che assume la sua attuale forma all’inizio del XIX secolo, e dove differenti stili e culture di architetture dei giardini, da quello romantico a quello di gusto cinese, convivono in armonia con l’originaria destinazione di giardino a frutteto.
Il progetto è a cura di Alberto Salvadori, direttore del Museo Marino Marini e del OAC dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
La mostra, corredata da un catalogo edito da Sillabe, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Toscana con la Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze il Museo del Giardino di Boboli, Firenze Musei, l' Ente Cassa di Risparmio di Firenze e la Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron.

Titolo: Chadwick. Retrospettiva per due giardini
Sedi: Firenze, Museo del Giardino di Boboli, Palazzo Pitti - Firenze
Giardino Bardini, Costa San Giorgio, 2 - Firenze
Periodo: 9 maggio - 30 agosto 2015
Per informazioni e prenotazioni: Firenza Musei (+39) 055 294883

domenica 1 marzo 2015

Orlando Bernardi. Germogli di libertà

[Comunicato stampa] Martedì 3 marzo 2015 alle ore 13.30 avrà luogo a Trieste, presso la sala esposizioni del Palazzo del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, l’inaugurazione della mostra “Germogli di libertà - La scultura dei miti e degli archetipi”, personale dell’artista Orlando Bernardi. Interverranno Franco Iacop, presidente del Consiglio Regionale, Igor Gabrovec, vicepresidente del Consiglio Regionale, Emiliano Edera, consigliere regionale dei Cittadini, e Giancarlo Bonomo, critico d’arte e curatore della mostra.
In esposizione opere dagli stili espressivi più vari, che ben si confanno a raccontare le sfaccettature di una personalità desiderosa di esprimersi in libertà e di aprirsi con curiosità ad ogni campo. Nella scultura Bernardi materializza non solo un indiscusso talento, ma anche una profonda riflessione, da un lato interiore ed esistenziale, dall’altro storica e antropologica, che si spinge ad indagare tradizioni mitologiche ed esoteriche arcaiche. La mostra rappresenta dunque l’occasione per conoscere un artista che, per naturale vocazione, porta in sé l’esigenza di trasmettere quelle ancestrali suggestioni che si celano nel sostrato culturale e nell’immaginario collettivo della civiltà umana.
Nato in Abruzzo, a Tagliacozzo (AQ), Orlando Bernardi forgia il proprio carattere con gli studi classici e concretizza la propria voglia di fare e di partecipare fondando il G.A.D. (Gruppo Arte Drammatica), che in modo totalmente autonomo realizza manifestazioni artistico-culturali. Dopo gli studi universitari in Medicina e Chirurgia alla Cattolica, che gli danno modo di partecipare ai fermenti pre e post-sessantottini, si trasferisce a Trieste, dove lavora presso la Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina, e si specializza in Chirurgia Generale presso l’Università di Parma. Negli anni Novanta, pur continuando il proprio lavoro di medico, rispolvera il desiderio accantonato dell’espressione scultorea. Non legato a schemi o correnti, realizza in modo eclettico e personale sculture neoclassiche, espressioniste o astratte di varie dimensioni e materiali (bronzo, terracotta, legno, pietra leccese). Si iscrive al gruppo Arte Sette e partecipa a mostre e concorsi con ottimi apprezzamenti e premiazioni, che accoglie come uno sprone a migliorarsi.
Giancarlo Bonomo scrive di lui: «La curiosità onnivora di questo artista orgogliosamente abruzzese spazia da soggetto mitologico e classicheggiante alle sperimentazioni più ardite in cui le opere si presentano con soluzioni quasi astratte e di concezione metafisica. Le frequenti citazioni di Bernardi non sono mai stucchevole maniera o rievocazione storica del già conosciuto, ma, viceversa, felici rivisitazioni frutto di un’intelligenza viva che si confronta con la natura e le sue infinite meraviglie e di cui il corpo umano, che l’artista conosce con evidente cognizione, rappresenta il sommo stupore».
La mostra “Germogli di libertà” resterà visitabile fino al 27 marzo, dal lunedì al giovedì negli orari dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 16.30 e il venerdì dalle 9.30 alle 13.00.

Titolo mostra: Orlando Bernardi. Germogli di libertà - La scultura dei miti e degli archetipi
A cura di: Giancarlo Bonomo
Sede: Sala esposizioni - Palazzo del Consiglio Regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Piazza Oberdan, 6 - Trieste
Periodo: 3 - 27 marzo 2015
Inaugurazione: martedì 3 marzo 2015, ore 13.30
Orari: da lunedì a giovedì ore 9.30/12.30 - 14.30/16.30, venerdì ore 9.30/13.00

venerdì 23 gennaio 2015

Alberto Giacometti e l’evoluzione della sua arte

di Rosanna D’Erario

La mostra Alberto Giacometti, ospitata presso la GAM, Galleria d’Arte Moderna di Milano fino al 1 febbraio, popone l’intero percorso artistico di uno dei più significativi scultori del Novecento con oltre 60 opere provenienti dalla Fondazione Alberto e Annette Giacometti di Parigi.
Lo spettatore potrà seguire l’evoluzione dell’artista dagli anni Venti agli anni Sessanta attraverso le sezioni della mostra che sono sia tematiche che cronologiche, iniziando con la parte più intima di Giacometti, quella dedicata alle sculture familiari e agli esordi cubisti della sua carriera. Nel 1922 infatti, si trasferisce a Parigi e qui capterà l’influenza artistica del tempo.
Successivamente aderirà al Surrealismo come testimonia la seconda sezione. Una parentesi breve per l’artista ma molto proficua. Appartengono a questo periodo capolavori come Boule Supendue (Sfera sospesa), definita da Dalì come il prototipo degli «oggetti a funzionamento simbolico», punto saliente del pensiero surrealista. L’opera è composta da tre semplici elementi, un’intelaiatura di metallo che contiene una mezzaluna sulla quale pende una sfera in gesso; ha una chiara funzione erotica ed il parziale scorrimento di un atto non riuscito innesca frustrazione, facendo risuonare echi inconsci dell’artista. Nonostante la produzione di opere di grande fascino appartenenti a questo periodo, nel 1935, dopo anni di esplorazioni delle Avanguardie, Giacometti manifesta l’idea di tornare a lavorare di fronte al modello e puntuale giunge la scomunica di Breton dal movimento surrealista.
Solo dopo pochi anni nasceranno i personaggi filiformi di Giacometti, che troviamo nella terza sezione: lunghe figure collocate su alti piedistalli o dentro gabbie. La figura umana, sia singola che in gruppo, diventa centrale nelle nuove creazioni caratterizzate da sculture esili e ieratiche.
La successiva sezione è incentrata sul ritratto, fermando l’attenzione sullo sguardo. Queste sculture mostrano come l’artista negli anni della sua maturità si sia misurato, con una consueta tenacia ed una perenne insoddisfazione nella ricerca della somiglianza, costringendo i suoi modelli a posare anche per settimane.
Il percorso espositivo si chiude con due sculture monumentali, La grande testa e La grande donna, che compendiano tutto ciò che l’artista aveva sperimentato negli anni precedenti, soffermandosi sul fulcro espressivo delle sue opere, lo sguardo.
In questa esposizione emerge chiaramente il genio di Giacometti e la sua profonda inquietudine nella costante ricerca di qualcosa che poi sfugge, come scriveva l’artista stesso: «Tutto il percorso degli artisti moderni è in questa volontà di afferrare, di possedere qualcosa che sfugge continuamente».

giovedì 20 giugno 2013

Franco Fossa. La figura e i suoi luoghi

Comunicato stampa

Inaugura sabato 22 giugno alle ore 19.00 la grande mostra antologica che il Museo Civico di Foggia dedica allo scultore Franco Fossa (Milano, 1924 - Rho, 2010), tra i grandi interpreti del “realismo esistenziale” italiano degli anni Cinquanta.
La mostra dal titolo Franco Fossa. La figura e i suoi luoghi, è stata curata da Massimo Bignardi, docente di Storia dell’Arte contemporanea presso l’Università di Siena e, sin dagli anni Ottanta, amico dell’artista e suo attento conoscitore. Il percorso espositivo disegnato negli spazi del Museo di Foggia, con la puntuale regia della moglie, la signora Maria Grazia Fossa, nonché di Salvatore Lovaglio ed Antonio Maria Pecchini inseparabili presenze nella vita dell’artista lombardo negli ultimi quattro decenni, propone una organica selezione di opere che, dagli anni Cinquanta giungono ad oggi, documentando tutti i linguaggi, le materie – dal legno al bronzo, alla terracotta – che hanno segnato la sua cinquantennale esperienza: opere che testimoniano la capacità di un artista «di possedere un senso – rilevava già nel 1954 Mario De Micheli – plastico istintivo e un mestiere già abbastanza formato […] ».
«È sul finire degli anni Quaranta – scrive Bignardi nell’articolato saggio che introduce il volume monografico pubblicato per questa occasione dalle Edizioni Nomos – che Franco Fossa lascia le aule di Brera e avvia la sua esperienza in una città, Milano, impegnata con passo svelto a ricostruire la sua “realtà”. La scena artistica milanese contribuirà inequivocabilmente sia alla formazione del suo solido mestiere di scultore, consentendogli di spaziare in diversi ambiti della ricerca scultorea senza registrare cedimenti formali, sia all’articolazione di un linguaggio che ha le sue radici nel profondo della coscienza civica. La sua scultura, lo è stato fino agli ultimi anni di vita, accoglie da subito l’impronta di una domanda che il “sé” pone al suo specchio, facendosi misura, direbbe Hillman, di quella relazione che fa dipendere la “coscienza” dalla “immaginazione”, avvertendo prontamente che quest’ultima “occupa un posto centrale nell’anima”.Come è possibile leggere in tutta la sua opera, Fossa prova a collaudare la resistenza di repertori figurativi, mettendo a registro le diverse anime della sua formazione: vale ricordare che studia dapprima alla scuola di Marino Marini, presso l’Istituto superiore per le industrie artistiche di Monza, al tempo una fucina per molti giovani artisti dell’intera penisola, e poi al magistero di Giacomo Manzù e di Francesco Messina, presso l’Accademia di Brera. Le teste, le figure realizzate nei decenni Quaranta e Cinquanta, liberate dal blocco di legno o modellate nella materia plastica dell’argilla e più tardi tradotte nella solidità del bronzo, dichiarano infatti percorsi ancora freschi della sua formazione. Da una parte affiora il senso della storia che gli proviene dall’insegnamento di Marini, dalle prove che il maestro affiderà ad una forma oramai decisamente distante dal naturalismo “universalistico” delle sue pomone, in virtù di un modellato sintetico con il quale si fa interprete di un sentimento della storia al cui centro pone l’uomo. Dall’altra lo sguardo terreno dell’uomo ancorato alla forza dell’esistenza che Fossa apprende da Manzù, come testimoniano alcuni gessi patinati che realizza nel corso degli anni Cinquanta nel quale un modellato orchestrato da minimi scarti, sparge sulla forma una luminosità vibrante. È la stessa luce interiore che l’artista fa scivolare nelle opere degli ultimi anni, nei sui ambienti, nei labirinti, nei luoghi di un “realismo” che non ha mai lasciato».

Nato a Milano nel 1924, Franco Fossa ha segnato l'arte contemporanea inserendosi a pieno titolo nel filone del Realismo Esistenziale al quale si associano i grandi nomi di maestri dell'arte italiana. A partire dagli studi all'Umanitaria di Milano e poi all'Istituto Superiore per Industrie Artistiche di Monza dove ha come maestro Marino Marini, per arrivare al diploma all'Accademia di Brera di Milano dopo aver seguito, tra gli altri, i corsi di Giacomo Manzù e di Francesco Messina. Dopo aver partecipato nel 1948 al Premio Medardo Rosso all'Accademia di Brera, ordina la sua prima personale nel 1949 al Centro Culturale di Rho facendola seguire dalla presenza a molti concorsi nazionali tra i quali il Premio Suzzara: Fossa partecipa a tre edizioni della storica manifestazione: nel 1952, nel 1958 e nel 1960 la sua opera venne segnalata dalla giuria. Nel 1982 realizza a Busto Arsizio in piazza Galiberti il monumento alle Vittime del Lavoro e nel 1999 la Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate organizza un’esauriente mostra antologica. Sue opere sono conservate in importanti musei e collezioni d’arte. Muore a Rho nel 2010.

Titolo mostra: Franco Fossa. La figura e i suoi luoghi
A cura di: Massimo Bignardi
Sede: Museo Civico Foggia, piazza Vincenzo Nigri 1, Foggia
Durata: 22 giugno - 6 ottobre 2013
Inaugurazione: sabato 22 giugno 2013, ore 19.00
Apertura: da lunedì a domenica ore 9.00-13.00, martedì e giovedì ore 9.00-13.00 / 16.00-19.00

mercoledì 29 maggio 2013

Alluminio. Tra Futurismo e Contemporaneità

Comunicato stampa

Dal 9 giugno all’8 settembre 2013 il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, museo civico unico in Italia che per vocazione è interamente dedicato alla scultura, in via Trieste 1 a Montevarchi (Ar), ospita la mostra Alluminio. Tra Futurismo e Contemporaneità, un percorso nella scultura italiana sul filo della materia. Evento che rientra nel progetto Contemporaneamente…al Cassero! Suggestioni, poetiche, linguaggi e approfondimenti sulla scultura italiana contemporanea, realizzato dal Comune di Montevarchi, Assessorato alla Cultura, curato dal direttore scientifico de “Il Cassero” Alfonso Panzetta, finanziato insieme alla Regione Toscana nell’ambito di “Toscanaincontemporanea 2012” e sostenuto da CiAl - Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo dell’Alluminio, official partner dell’evento.
Questa mostra, che rappresenta l’evento di punta del progetto, è dedicata all’approfondimento, di taglio storico-tematico, sull’utilizzo di uno dei materiali (medium), della scultura contemporanea come l’alluminio. Saranno oltre 60 le opere esposte provenienti da collezioni pubbliche, archivi e fondazioni private, di artisti come Thayaht e Ram, Regina e Renato Di Bosso, ma anche Bruno Munari e Valeriano Trubbiani, Dadamaino e Gilberto Zorio, e tanti altri scultori che hanno usato l’alluminio per le loro opere. Un materiale che è comparso nella scultura italiana a partire dalla metà degli anni Dieci del ‘900 fornendo agli artisti nuove e inattese frontiere espressive per tutto il XX secolo, fino alle nuove generazioni del XXI secolo. Una mostra che non intende essere esaustiva ma avviare, attraverso una congrua selezione di opere, una riflessione sul tema, documentando le diverse tecniche d’impiego e le differenti potenzialità comunicative di questo materiale.
Questo racconto trasversale parte dal secondo Futurismo degli anni Venti e Trenta, dove viene messo in evidenza il diverso utilizzo dell’alluminio in relazione al linguaggio plastico scelto dagli artisti; dalle “sintesi plastiche” alle “aereosculture”, fino agli “spazialismi” che precedono la Seconda Guerra Mondiale (scultori come Mino Delle Site, Wladimiro Tulli, Sante Monachesi), passando per gli scultori più legati al “Novecento” italiano (Lina Arpenani, Carlo Lorenzetti, Giangiacomo Barbieri). Sono poi presentati alcuni esempi delle prime ricerche informali e astratte del dopoguerra (Alfio Castelli, Francesco Somaini, Ernesto Galeffi), per poi proseguire con la poetica delle “strutture” e delle superfici “optical” degli scultori attivi negli anni Sessanta (Getulio Alviani, Nane Zavagno, Diana Baylon, Bruno Munari) e con l’uso dell’alluminio da parte degli artisti della “figurazione astratta” e dell’“arte povera” attivi tra gli anni Settanta e Novanta. Infine una selezione di opere, datate dopo il 2000 (Rivalta, Grassino, Garbolino Rù, Borrelli, Loretti), riguarda autori emergenti che impiegano questo metallo in modo sempre più costante e originale.

Titolo mostra: Alluminio. Tra Futurismo e Contemporaneità, un percorso nella scultura italiana sul filo della materia
Sedi: Spazio mostre temporanee Ernesto Galeffi, via Burzagli 43, Montevarchi (AR)
Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, Via Trieste 1, Montevarchi (AR)
Periodo: 9 giugno - 8 settembre 2013.
Logistica: Associazione Amici de Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento
Segreteria organizzativa e didattica: Cooperativa Itinera C.E.R.T.A.


Immagini:
Giangiacomo Barbieri, L’Estate, alluminio anticorodal, 1935-1936, h 60,5 cm.
Paolo Grassino, Erosione, alluminio, 2011, h 124-170 cm. (photo credits: Rossana Rupiani)
Thayaht, Violinista, alluminio, 1927, h 66 cm.

mercoledì 27 febbraio 2013

Louise Nevelson

Comunicato stampa

Sarà aperta al pubblico dal 16 aprile al 21 luglio 2013 presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, la mostra Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei con Arthemisia Group. L’esposizione, realizzata con il patrocinio dell’Ambasciata Americana e in collaborazione con la Nevelson Foundation di Philadelphia e la Fondazione Marconi di Milano, annovera oltre 70 opere della scultrice americana di origine russa Louise Berliawsky Nevelson (Pereyaslav-Kiev, 1899; New York, 1988).
La retrospettiva, a cura di Bruno Corà, narra il contributo che l’artista ha dato allo sviluppo della nozione plastica: nella scultura del secolo scorso la sua opera occupa un posto di particolare rilievo, collocandosi tra quelle esperienze che, dopo le avanguardie storiche del Futurismo e del Dada, hanno fatto uso assiduo del recupero dell’oggetto e del frammento con intenti compositivi. La pratica dell’impiego di materiali e oggetti nell’opera d’arte, portata a qualità linguistica significante da Picasso, Duchamp, Schwitters e altri scultori, nonché l’assemblage - spesso presente anche nell’elaborazione della scultura africana - esercitano una sensibile influenza sin dagli esordi dell’attività della giovane artista, che emigra con la famiglia negli U.S.A nel 1905, stabilendosi a Rockland nel Maine. La Nevelson, insieme a Louise Bourgeois, ha segnato in maniera imprescindibile l’arte americana del XX Secolo.
La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, l’attività della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta, con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni ’50, alcuni capolavori degli anni ’60 e ’70 e significative opere della maturità degli anni ’80, provenienti da importanti collezioni nazionali e internazionali di istituzioni quali la Fondazione Marconi e la Louise Nevelson Foundation, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaekin in Danimarca, il Centre national des arts plastiques in Francia e la Pace Gallery di New York.
Il percorso è arricchito da foto originali e riproduzioni di importanti fotografi, come Pedro E. Guerrero e Robert Mapplethorpe, che ritraggono l’artista nel suo studio.
Nel 1986 la collettiva Qu’est-ce que la Sculpture Moderne?, presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, consacra Louise Nevelson tra i più grandi scultori della sua epoca. L’artista seguita a lavorare sino alla sua scomparsa, sopravvenuta a New York il 17 aprile del 1988, mentre le sue opere vengono acquisite da noti musei e collezionisti privati negli Stati Uniti e nel mondo.
Con la mostra dedicata a Louise Nevelson il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale e, in particolare, della conoscenza della personalità e del tratto figurativo di esponenti femminili che hanno apportato un contributo significativo all’arte contemporanea. Un percorso, questo, iniziato con le esposizioni dedicate a Niki de Saint Phalle (2009) e Georgia O’Keeffe (2011), che, passando per Louise Nevelson, si arricchirà nella seconda metà del 2013 della mostra su Barbara Hepworth.
Il catalogo, edito da Skira, accanto alle immagini delle opere, include il saggio critico del curatore Bruno Corà e alcuni testi storico-critici di Thierry Dufrêne, Thomas Deecke, Aldo Iori e una conversazione con Giorgio Marconi, Presidente della Fondazione Marconi, che ha diffuso in Italia l'opera della Nevelson.

Titolo mostra: Louise Nevelson
A cura di: Bruno Corà
Sede: Museo Fondazione Roma, Palazzo Sciarpa, Roma

Periodo: 16 aprile - 21 luglio 2013
Catalogo: Skira

Immagine: Louise Nevelson, The Golden Pearl (24 elementi), 1962, legno dipinto oro, 198x100x45 cm, Courtesy Fondazione Marconi, Milano, © Louise Nevelson by SIAE 2013

lunedì 3 dicembre 2012

Leone Lodi. I segreti dello scultore

Comunicato stampa

Il Comune di Soresina festeggia i suoi cinquant'anni di storia con una grande mostra dedicata allo scultore Leone Lodi (1900-1974), un maestro dell'arte del Novecento, nato nell’antico centro cittadino.
Dopo l'importante retrospettiva dedicatagli nel 2006 nelle sedi della Triennale e di Palazzo Isimbardi a Milano e al Museo Civico di Crema, Leone Lodi torna nella sua città natale, che ancora oggi ospita il suo studio-laboratorio, con una mostra realizzata in collaborazione con l’Associazione Leone Lodi e allestita nelle antiche sale espositive del Palazzo del Podestà.
La mostra, a cura di Chiara Gatti, offre una panoramica di circa quaranta lavori, fra gessi, marmi e bronzi, alcuni inediti, realizzati dagli esordi all'ultima fase dell'attività del maestro, che unitamente a un nucleo di disegni scelti nel ricchissimo patrimonio del suo archivio svelano per piccole tappe cronologiche evoluzioni, eredità, temi, ricerche tecniche e sperimentazioni espressive, che hanno segnato le differenti fasi della sua produzione.
Il suo talento di scultore monumentale, capace di concepire immagini di grandi dimensioni come parte vitale dello spazio urbano, gli assicurò la simpatia di molti architetti, come Agnoldomenico Pica, Marcello Piacentini, Paolo Mezzanotte, Giuseppe Pagano, Giulio Minoletti, Eugenio Faludi, oltre alla stima del collega Mario Sironi, che coordinò, insieme a Ponti, i cantieri delle Triennali a partire dal '33 e che trovò in lui un collaboratore importante.
Le opere di Lodi, perfette nello studio dei materiali, delle patine e delle tonalità delle pietre, dialogano a meraviglia con gli elementi della costruzione, le superfici, i rivestimenti, in linea con l'idea – nata in seno al Bauhaus – di un’armonia ideale fra architettura, scultura e pittura. La stessa che si ritrova, per esempio, negli altorilievi con i quattro elementi, collocati nel 1930 alla base delle colonne del Palazzo della Borsa; o nei rilievi della Torre dei venti, meglio nota come la Torre dell'autostrada all'uscita di Bergamo; o, ancora, in altri altorilievi, come quelli modellati per L'Università Luigi Bocconi e di cui, in mostra, si possono ammirare oggi alcuni gessi preparatori.
La sensibilità di Leone Lodi per i toni della materia, naturali, oppure ottenuti con sapienti processi di colorazione e patinatura, gli permise di creare episodi, figure e brani immersi in una vena di eternità, ereditata dalla poesia di Adolfo Wildt e in sintonia con la riflessione di Arturo Martini. Questa vicinanza con tali maestri del Novecento, rappresenta un importante capitolo indagato dalla mostra. Dallo studio delle pose dei singoli personaggi, figure sacre o mitiche, ritratti o nudi algidi, emerge infatti la sua attitudine nel relazionarsi costantemente con lo spazio, in termini assoluti.
La mostra di Soresina è la prima tappa di un percorso che mira a valorizzare la figura del maestro attraverso una mappa di visita alle opere distillate nel territorio, ma soprattutto, grazie all'importante progetto, in fase di definizione da parte del Comune di Soresina, di un museo monografico dedicato all'opera di Leone Lodi allestito nel centro storico della città, dove confluirà una scelta dei suoi lavori e la documentazione d'archivio.
Completa il percorso espositivo, una sezione documentaria ricca di foto d'epoca e un video realizzato appositamente per l'antologica che, partendo dagli ambienti del suo studio a Soresina, racconta la fortuna del maestro ricercato per commissioni pubbliche in tutta Italia. In concomitanza con questa grande retrospettiva, sono stati predisposti da Ada Ceola e Daniela Lodi alcuni laboratori didattici e percorsi guidati alla scoperta dei temi, ma soprattutto dei materiali, dei colori, delle tecniche segrete della scultura di Lodi.

Titolo mostra: Leone Lodi. I segreti dello scultore
A cura di: Chiara Gatti
Sede: Sala del Podestà, Sale Comunali - Palazzo del Podestà, Soresina (CR)
Periodo: 8 dicembre 2012 - 17 marzo 2013
Inaugurazione: sabato 8 dicembre 2012, ore 18.00
Orari: SALA MOSTRE sabato e festivi 10-12 e 15-19, venerdì 16-19, Natale 16-19, lunedì chiuso; martedì, mercoledì e giovedì a disposizione per gruppi, previa prenotazione nei giorni feriali dalle 9 alle 12 al numero 0374349414, referente Daniela Corda;  STUDIO di Via Verdi 8, sabato 10-12  e 15-19, altri giorni su prenotazione.
Ingresso: gratuito

venerdì 19 ottobre 2012

Massimo Sacconi. L’urlo muto della coscienza

Comunicato stampa

Dal 25 novembre a Montevarchi in Provincia di Arezzo si svolge “Contemporaneamente…al Cassero! Suggestioni, poetiche, linguaggi e approfondimenti sulla scultura italiana contemporanea”, un progetto espositivo che prevede fino a tutto il 2013 un ciclo di cinque mostre ospitate nelle sale de “Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento”, in via Trieste 1, Montevarchi, il museo civico unico in Italia, che per vocazione è interamente dedicato alla scultura. Il progetto è curato dal direttore scientifico de “Il Cassero” Alfonso Panzetta, realizzato dal Comune di Montevarchi e finanziato insieme alla Regione Toscana nell’ambito dell’iniziativa “Toscanaincontemporanea 2012”.
La prima mostra in programma si intitola “Massimo Sacconi. L’urlo muto della coscienza” aperta da domenica 25 novembre fino al 6 gennaio 2013. Massimo Sacconi, significativo e schivo maestro aretino, nato a San Giovanni Valdarno nel 1945 e montevarchino d’adozione, è uno scultore che predilige il gesso alabastrino realizzando grandi figure di un forte espressionismo profondamente legato alla personale riflessione sui disagi dell’uomo nel nostro tempo. Tra le esposizioni al suo attivo, ultime in ordine di tempo, la grande personale di Arezzo e l’omaggio resogli dalla Regione Toscana, per la quale ha realizzato il grande monumento alle Morti Bianche in Palazzo Panciatichi a Firenze.
Sono otto le opere esposte nelle sale del Cassero in continuo dialogo con la collezione permanente del museo sollecitando riflessioni e suggestioni certamente inattese tra la scultura contemporanea di Sacconi e quella dei grandi maestri dell’Ottocento e Novecento. Opere di grande intensità emotiva che comunicano la sofferenza e il dolore come “Pietas per Beslan” e  il gruppo di tre opere “Il dolore delle madri”, ispirate alla strage di bambini del 2004 in Ossezia del nord dove ognuna di  esse esprime paure diverse. Un messaggio universale del dolore che si manifesta attraverso la figura della donna come nelle opere “Violata” ed “Eros /Bios”, ma anche nell’uomo rappresentato in “Tortura” e un “Un povero Cristo” dove emergono le mani, aperte e scomposte nel tentativo di una inutile difesa.
“La particolarità della ricerca artistica di Sacconi – spiega il direttore del Cassero Alfonso Panzetta – è quello di comunicare con forza la perdita dei valori di riferimento dell’uomo contemporaneo. Una poetica amplificata dalla sua singolare sintassi plastica di “figurazione astratta” dove nulla è naturalistico, ma tutto naturalmente significante. Con questa prima mostra – aggiunge -per il Cassero significa iniziare una programmazione sul contemporaneo con artisti diversi a colloquio con le collezioni storiche del museo. Fino al 2013 sono previste altre quattro mostre, tre delle quali avranno come protagonisti scultori italiani affermati o emergenti e una dedicata a uno dei materiali principe della scultura contemporanea, l’alluminio. Un progetto che presenta anche un valore didattico per insegnare a guardare la scultura, conoscerne i materiali, le tecniche ma soprattutto i linguaggi”.
“Il nostro obiettivo  – sottolinea il sindaco di Montevarchi Francesco Maria Grasso – è quello di legare arte, cultura e promozione del territorio. E questo lo possiamo fare grazie alla stretta collaborazione con la Regione Toscana e ad una struttura come il Cassero che è inserito a pieno titolo tra i grandi musei della nostra regione”. Le opere di Sacconi si coniugano inoltre con la multimedialità, ed è questo uno degli aspetti innovativi del progetto “Contemporaneamente…al Cassero!”, grazie  alla collaborazione dell’Associazione Fotoamatori Francesco Mochi” e dell’Associazione MACMA”, importanti realtà del territorio. In questo  caso è toccato al fotografo Marco Mugnai e al video maker Tommaso Orbi, rileggere e interpretare le opere di Sacconi  arricchendo il catalogo curato dallo stesso Alfonso Panzetta con un testo di Elena Facchino. La realizzazione del progetto vede poi la partecipazione dell’Associazione Amici de Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento” per quanto riguarda la logistica e della “Cooperativa Itinera C.E.R.T.A.” relativamente alla segreteria organizzativa e alla didattica.

Titolo mostra: Massimo Sacconi. L’urlo muto della coscienza
Sede: Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, Via Trieste 1, Montevarchi (AR)
Durata: 25 novembre 2012 - 6 gennaio 2013
Inaugurazione: sabato 24 novembre 2012, ore 17.00
Orario: giovedì e venerdì 10-13, 15-18; sabato e domenica 10-13, 15-19; primo giovedì del mese 21.30-23.30.
Biglietto: 3 euro intero, 1 euro ridotto.

Immagini:
Pietas per Beslan, 2006, alabastrino dipinto, h cm 175
Il dolore delle madri, 2006, alabastrino dipinto, h cm 200

lunedì 27 agosto 2012

Maria Gamundí. Marmo & Bronzo

Comunicato stampa

Le donne di Maria Gamundí prendono il palcoscenico a Pietrasanta in Marmo & Bronzo, una mostra personale di sculture nella Sala delle Grasce, dal 15 settembre al 14 ottobre, 2012. Venezuelana di origine, Maria Gamundí ha vissuto a Pietrasanta per 40 anni e ha lavorato nei laboratori di marmo e nelle fonderie di bronzo della “Citta d'Arte”. Il corpo femminile è al cuore del lavoro dell'artista - la ricerca della bellezza di Maria Gamundí trova espressione nelle armonie arrotondate della forma femminile, il suo è un universo che tende verso la perfezione, le donne di Maria sono “beate di appartenersi, coscienti d’essere ognuna un cosmo, un uovo, un centro propulsore di vita nel Creato” scrive il critico d'arte Giuseppe Cordoni nel catalogo della mostra.
«Nel mondo dell’arte contemporanea c’è spesso il tentativo di aggredire, di scioccare il pubblico», dice Maria Gamundí . «Io credo che invece ci si debba confrontare con le cose belle, per questo cerco di infondere l’armonia, la pace. Qualunque siano le tendenze, io non potrei mai fare quello che non sento e ciò che esce spontaneamente dalle mie mani sono immagini che rappresentano l’ideale della bellezza».
“Maria Gamundí è internazionalmente nota per le sue sculture dedicate al mondo femminile” dice Il Sindaco di Pietrasanta Domenico Lombardi: “Questa è la prima mostra personale in uno spazio pubblico di Maria Gamundí a Pietrasanta: un atto doveroso e per l’Amministrazione di grande prestigio, affinché l’artista possa presentare finalmente più opere assieme, offrendo quel fresco slancio di armonia che si crea nella magica interazione tra le sue creazioni. Un sentito ringraziamento va a quest’artista, che, grazie alla sua presenza e dedizione nel mondo dell’arte, ha contribuito a tenere alto il nome di Pietrasanta nel mondo” continua il Sindaco Lombardi.

Titolo mostra: Maria Gamundí. Marmo & Bronzo
Sede: Sala delle Grasce - Centro Culturale “Luigi Russo”, Pietrasanta (LU)
Periodo: 15 settembre - 14 ottobre 2012
Orari: settembre: da martedì a domenica 16.30-20.00 / 21.00-24.00;
ottobre: da martedì a domenica 16.30-20.00;
lunedì chiuso; sabato e domenica anche 10.00-12.30.

lunedì 14 novembre 2011

Davide De Paoli. Gioielli, sculture, cancelli artistici

Comunicato stampa

Lastre metalliche su cui vengono praticati tagli e piegature. Percorsi topologici. Centinature su cui appoggiano involucri invisibili. Costruzioni reversibili che se ripiegate su sè stesse rivelano la matrice piana. Sono ricerche sulla successione dei ritmi di pieno e vuoto, di modulazioni raffinate, di verifica di rapporti euclidei. Ma questa constatazione non ci fa avanzare di molto nella comprensione di una esperienza artistica complessa come quella di Davide De Paoli. Le sue opere sono interrogazioni: cosa è il vuoto, cosa nascondono le cavità, cosa è il protendere e il ritirarsi delle forme. L’intera sua produzione, dai gioielli alle sculture ai cancelli-sculture, è infatti contrassegnata, oltre che da strategie realizzative (modularità, massimo sviluppo della minima superficie), anche da tensioni metafisiche che si esprimono, ad esempio, nello svuotamento dei volumi pieni. La scultura svuotata suggerisce il tuttotondo ma segnala anche lo spalancarsi di interminati spazi di là da quella. E rafforza questa impressione proprio l’assenza di ogni riferimento ontologico nelle dichiarazioni discrete dell’artista che, parlando di sè e della sua esperienza, pare come attenersi controllatamente alla sfera del pronunciabile e del comunicabile.
"Oggi rimangano varie tracce del mio lavoro, in parte inedite, sparse in vari studi di amici, avendo io chiuso il mio laboratorio da due anni. Tutte le opere che presento in questa mostra sono di mia proprietà, salvo alcuni degli anni ‘70, ‘80 e recenti concessimi da amici o collezionisti a me molto vicini. Una piccola antologica, piccola per ragioni pratiche dato lo spazio relativamente limitato della galleria, ma anche trovando molto complesso ristabilire contatti con vari collezionisti per chiederne il prestito. Nei vari periodi ho affrontato diversi materiali, dal metallo al legno alla terracotta. Mentre nel gioiello, attraverso la fusione la laminatura la saldatura si assiste ad un processo integrale, nella scultura ho sempre attinto a materiali semilavorati industriali, in particolare lamiere da me tagliate in forme prevalentemente geometriche e trasformate in forme bi-o-tridimensionali. Nel discorso della percezione ottica c’è spesso un inganno: dove si sottende il pieno, esiste il vuoto proiettato dall’ombra di una forma piegata. Le mie opere sono in gran parte così: volumi virtuali, percorsi topologici, composizione di moduli prefissi calcolando pieni e vuoti, ritmi alternati o simmetrie. Oggi il mio compito è di riordinare, archiviare, fotografare, esporre i vari temi e forme ricavate nei diversi periodi, in base a criteri innovativi e sperimentali. Le sculture spesso sono taglienti, simili ad armi arcaiche o volumi riferiti alla sfera e al quadrato, geometrie elementari da me predilette."

Titolo mostra: Davide De Paoli. Gioielli, Sculture, Cancelli artistici 1972-2007
Sede: Galleria Ostrakon, via Pastrengo 15, Milano
Periodo: 24 novembre 2011 - 12 gennaio 2012
Inaugurazione giovedì 24 novembre, ore 18.00
Presentazione in catalogo di Chiara Gatti e Alessandra Quattordio
Orari: da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30

venerdì 22 aprile 2011

Brunivo Buttarelli. Ciò che rimane del tempo

Comunicato stampa

Brunivo Buttarelli (Casalmaggiore di Cremona, 1946) è al tempo stesso un outsider e una presenza forte nel non esaltante panorama della scultura italiana. Docente prima di tecniche pittoriche applicate, scultore scenografo del Teatro Regio di Parma, dal 1991 si dedica con crescente esclusiva passione alla scultura. La sua preistoria artigianale fa capo agli anni dell’adolescenza passati nella bottega del padre falegname. Il suo retroterra culturale è la grande stagione informale e materica degli anni Cinquanta. Maestri di riferimento Leoncillo e Burri, l’opera fondata sulle materie prime e spurie (plastiche, jute, ferri, legni), Fontana e Tàpies, Scanavino e Tavernari. Infine Joseph Beuys, suo modello.
Come Beuys, Buttarelli fonda le sue installazioni sul legno, ceppi e tronchi d’albero. Il pioppo è il legno-base delle sue sculture. Lo raccoglie lungo i fossati: tronchi di alberi caduti o quelli di bosco ceduo. Pioppo, ferro, marmo, materie dell’alba dell’umanità. Le indagini e le interrogazioni sulla materia prendono un forte profilo originale - con esiti artistici imponenti, avventurosi e straordinari - quando Buttarelli incrocia la propria ricerca con l’archeologia e la paleontologia. Fuga nel tempo e rappresentazione di un Tempo che regge e governa i passaggi della Storia, riduce in prossimità del nulla l’azione dell’uomo - il tempo storico. L’opera allora evoca specie scomparse e il loro habitat, scopre con l’affioramento dei resti paleontologici la dimensione di un tempo di Natura che divora le atrocità del tempo storico. Tuttavia - in queste sculture - la pietra, il marmo, il legno, il ferro sono sia materie in natura che materiali del lavoro e dell’habitat nelle prime organizzazioni sociali. E’ il mondo come mondo contadino, teatro di una organizzazione sociale primordiale, epoca dello scambio lavoro-Natura. Così attuale nel tempo della crisi - quando risorse e tecnologia marcano limiti - e l’umanità appare nella sua nuda organizzazione, nelle sue epocali trasformazioni e trasferimenti: tela jeans e pane senza lievito, fuoco di accampamento e zainetto del migrante. Infine quest’opera è passione di una natura aggredita e ferita dall’uomo, opera ansiosa per il degrado e le violenze subite, monumento civile in difesa dell’ambiente, allarme per una catastrofe possibile futura.
Il lavoro di Brunivo Buttarelli, ha una grande forza espressiva e muove da un immaginario apocalittico, le sue sculture - ungulati, carcasse di “balene bianche”, leviatani giganteschi - sono fortemente evocative di una vita dei primordi, resti geologici, in qualche misura i calchi delle specie scomparse che abitavano una Terra incontaminata, un Tempo del Sacro ormai scomparso.

Titolo mostra: Brunivo Buttarelli. Ciò che rimane del tempo (sculture 1992-2011)
A cura di: Piero Del Giudice
Sede: Milano, Galleria Ostrakon - Teatro Verdi - Parco di Villa Hanau
Date: 10 maggio - 10 giugno 2011
Inaugurazione: martedì 10 maggio 2011
Ore 18.00: incontro alla galleria Ostrakon, via Pastrengo 15, trasferimenti con navetta al parco di Villa Hanau in via Guerzoni (interventi e rinfresco)
Ore 19.00: concerto del “Quartetto Indaco” Wolfgang Amadeus Mozart Streichquintett K516, Eleonora Matsuno (primo violino), Jamiang Santi (secondo violino), Andrei Arabagiu (viola), Naomi Berrill (violoncello), Abner Colombo (seconda viola)
Orari: da martedì a sabato ore 15.30 - 19.30

martedì 12 aprile 2011

Chiara Gerosa. Riconquista

Comunicato stampa

Sulla splendida passeggiata a mare Anita Garibaldi di Genova-Nervi, a poche decine di metri dalla Galleria d’Arte Moderna, dal museo della Collezione Wolfson, si affaccia Sala Anita Garibaldi dove il 16 aprile verrà inaugurata la mostra di scultura “Riconquista” dell’artista Chiara Gerosa. Circa 20 opere saranno esposte fino al 7 maggio, a rappresentare il magico mondo che l’artista riporta alla luce nel “tramandare il rispetto per le “cose” e per ciò che le circonda” usando un linguaggio semplice e diretto giocando con gli oggetti e divertendo il fruitore accompagnandolo a riconoscere forme e oggetti che, come coalizzati, riprendono vita in creature biomeccaniche. Come l’artista sottolinea “Con il mio lavoro voglio fermare nel tempo quella memoria storica, consacrata nella loro forma e identità.” Il metallo è il materiale del suo lavoro, lo raccoglie, ne immagina forme nuove lo ricompone per dargli nuova vita, partendo da quelle forme che la nostra civiltà ha progettato, realizzato ed infine buttato. Traspare dalle sue opere la ricerca introspettiva, la tenacia nell’operare, la sua continua sperimentazione, gli stati emozionali ed esperenziali, dove emerge la sensibilità artistica nel valorizzare l’eccellenza della conoscenza umana e della comunicazione.
“La mia ricerca espressiva nasce dalla scelta di utilizzare esclusivamente materiale di recupero, più precisamente rottami, in cui vedo un universo di storia, di forme progettate e realizzate, di lavoro, di attrezzi usati e consumati dal tempo e dai gesti quotidiani; ora, dopo anni di dedizione e fedeltà, stanno abbandonati in montagne di altro rottame, senza più importanza e dignità, se non quella di essere venduti a peso per essere smaltiti.”
Si ringrazia l’AMIU per la concessione dello spazio

Chiara Gerosa nasce a Giussano (MI) nel 1979, si diploma nel 2004 all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Già dal 1999 inizia a partecipare a mostre di scultura, nel 2000 espone a Palazzo Ducale di Turi-Bari. Importante il I premio di Scultura alla terza rassegna nazionale delle Accademie di belle Arti nel 2002 alla XXVIII Biennale d’arte contemporanea (Alatri-FR), nel 2008 riceve la Segnalazione di merito dalla critica nel Concorso di scultura a Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno (MI) “Scultori a palazzo”, nel 2009 realizza i premi del concorso cinema Roma Brianza film corto, mentre nel 2010 partecipa alla collettiva “non si butta via nulla” tenutasi a Villa Imperiale di Genova
Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, nazionali ed estere.

Titolo mostra: Chiara Gerosa. Riconquista
Sede: Sala Anita Garibaldi, Genova-Nervi
Vernice: sabato 16 aprile ore 18.30
Periodo espositivo: 17 aprile - 7 maggio 2011
Orari: tutti i giorni dalle 9.30 alle 12.00 e dalle 13.30 alle 18.00.
Ingresso: libero