Non è la Liguria patinata, oleografica, da cartolina e da pubblicazione turistica. Ma quella ruvida e spinosa “del sole che abbaglia” di Ossi di seppia di Montale. È una terra che tormenta e che fa male quella di Giovanni Battista De Andreis. Appuntita e selvaggia è la sua terra abbattuta dal vento e dalle onde che fanno rialzare il viso ed il capo allo “scoccare/verso le strepeanti acque,/frecciate biancazzurre, due ghiandaie./ (Mediterraneo, 1924).
Gialli brucianti, rossi arroventati, blu d’abisso, verdi smeraldi: è sempre e solo attraverso il colore, dall’impasto tattile, corposo, avvolgente delle immagini che Giovanni Battista utilizza per raccontare la sua Liguria e la sua vita quotidiana, mediate dall’immaginario personale. Lo fa con una tavolozza incendiaria, orchestrata su timbri sonori e accostanti, arditi: verde viola; verde e nero, arancio e rosso, blu e marrone. La pittura di De Andreis è legata all’emotività ed al rinnovamento del linguaggio figurativo. “I rossi e i rosa dei corpi fanno magnifico contrasto con gli sfondi verdi profondi, intricati, opulenti. Sogni d'oriente dipinti da un nordico che ha un indubbio temperamento e un suo mondo originale” (“Mostre d’arte”- Rafael Alberti; Alberto Brambilla; Giovanni Battista de Andreis del 23 aprile 1968; intervento critico di Dino Buzzati).
Del suo immaginario fanno parte una serie di luoghi ricorrenti: montagne, spiagge sabbiose e abbattute dal vento e luoghi isolati da colline o alture. Nella sua pittura il paesaggio è catturato nelle varie ore del giorno e nell’alternarsi delle stagioni con una attenzione maggiore per gli ambienti estivi. Le forme perdono i loro ritagli e si tingono delle sfumature di cose e vicine avvolte nel tono dell’atmosfera.
Il pittore ligure crea in questo modo una poesia della natura che forte del dialogo con le ombre e con l’ambiente passa all’ispirazione di un rapporto diretto e totale fra la pittura e il mondo di apparenza che lo circonda. Diventa esecutore dell’esterno con sensazioni ed emozioni che sono trasfigurate in simboli o in significati di luce di cui Dearling ’78 se ne fa portavoce, rispecchiando, infatti, con la sua forza magnetica il passato ricomposto con brevi tocchi di pannello.
Molto forte nei suoi quadri è il passaggio dell’empirismo – che si avverte nello studio e nella rappresentazione dei paesaggi - alla libertà, evidenti nelle scelte estetiche delle figure e nelle tecniche pittoriche.
La capacità di ritrarre i soggetti, tra l’altro, induce a pensare allo studio dell’antico - in senso classico nell’opera Servizio in camera (2007) – come ritorno all’ordine ed alle simmetrie dove il passato è linguaggio mediato dall’esistenza. Ma la sua pittura è conseguenza della storia personale e delle esperienze per narrare in modo intrigante la realtà rimasta allo stato di frammento.
La sua pittura appare rivolta all’esistenza – ha detto Gualtiero De Santi – vicina all’area letteraria montaliana (Dora Markus). La confusione degli oggetti sparsi nei dipinti è una marca linguistica della condizione di assedio del tempo presente. Che appare dal desiderio del pittore di costruire una relazione interno/esterno e dalla corruzione del mondo (come nel caso de La cognizione del dolore di Gadda).
Clizia di Montale è un emblema allegorico, in cui si condensano – come per De Andreis e la sua modella – sentimenti privati ed emozioni soggettive e valori ideologici di tipo etico. Già della prima produzione figurativa di Giovanni Battista l’elemento ideologico appare predominate su quello emotivo e sentimentale. Allo stesso modo in cui Clizia con i suoi occhi può tenere lontano la barbarie del mondo, ugualmente i ritratti di donne esposte a “Castelbellino Arte” sono in grado di vedere i significati nascosti delle cose senza essere accecate dalle apparente insensatezza e dalla brutalità della vita. Così il pittore affiderebbe la propria salvezza all’immagine di una donna che si cela tra trucchi e tessuti e per una ragione affettiva diventerebbe la sua modella in Servizio in camera.
Le donne raffigurate nei quadri provengono idealmente dal mondo poetico montaliano del dopoguerra. Il pittore nelle sue opere, su tela e su carta, ha dimostrato la piena espressività che si è rinnovata costantemente in modo sapiente nel tempo. Anche lo stesso curatore della mostra (Castelbellino, dal 17 luglio al 1° agosto, 2010), Riccardo Ceccarelli, si è allineato nel giudizio critico alla dimensione di pittura che si rigenera e ritorna – nel senso fichtiano affermando di trovarsi di fronte a “una pittura-pittura” – per il rinnovamento continuo delle scelte stilistiche e iconografiche del pittore (Giovanni Battista De Andreis – Castelbellino Arte 2010/catalogo, p. 5).
Nei suoi dipinti si trova un presagio, un presentimento insito nei turbamenti del vivere, nei silenzi dei colori che si affacciano da grandi schienali di sedie, tendaggi pesanti, fondali scuri resi con un linguaggio destrutturato che l’industria ha portato alla cultura.
Colori ed immagini, di cui fa impiego, si presentano quasi tangibili a chi osserva. Una vita, tuttavia, per inseguire e per comprendere non soltanto l'evoluzione, ma anche il determinarsi della sua arte dove il corpo è “ingaggiato” per creare delle figure.
Il pittore ligure appare dotato di un sicuro gusto per la “costruzione” composizione cromatica, fino a raggiungere una completa autonomia dell'immagine dipinta. I punti di riferimento in questa operazione sono quelli della grande tradizione “realista” europea, attentamente studiata nel cromatismo espressivo (e nel rapporto tra colore ed immagine) che si presenta quasi tangibili a chi osserva. Uno stile, tuttavia, per inseguire e per comprendere non soltanto l'evoluzione, ma anche le diverse inquadrature pittoriche (scrive Gualtiero De Santi nel testo del catalogo della mostra).
Il pittore ligure appare dotato di un sicuro gusto per la “costruzione” dell'immagine fino a raggiungere una completa autonomia nella figura che si concretizza in Per tutti gli sguardi (1977).
De Andreis è imprevedibile, anche, nelle soluzioni prospettiche, quasi a volere riequilibrare e rimodulare spazi e figure in dimensioni nuove e in soluzioni impersonali” (dice Riccardo Ceccarelli). Un percorso completo che rivela un linguaggio personale, ma già attratto dalla deformazione e dall’ambiguità delle figure riprodotte tra oli brillanti che sembrano emergere dal paesaggio selvaggio e nei riflessi della luce.
La figura umana è vista simbolicamente come attratta dalla luce e del suo riverbero nel quotidiano o dall'irreale tanto da apparire trasparente e drammatica, commovente e accattivante.
L‘intervento artistico di De Andreis è sulle condizioni fredde e vuote dell’attualità dove l’orizzonte pittorico e la sua originalità si sono ormai ristrette. La presenza della donna è diventa sia il soggetto che l’oggetto.
Il pittore entra nella scena senza opporsi alla condizione umana e femminile presentata, ma attraverso una sorta di camuffamento simbolico che nel dipinto For harpsichord and ghironda (2008) spicca per il senso di appartenenza ad una diversa civiltà.
C’è, del resto, nel retaggio del passato dell’autore una rara aderenza alla realtà, ai luoghi comuni che il ligure, peraltro, non vuole criticare intellettualisticamente, ma anzi accettare con una strana adesione agli stereotipi del mondo femminile. Più intensa ed emotiva si fa la pittura dagli anni ’70 che appare costruita in tableau vivant dove le donne vengono messe sotto un’aurea storica: Easy rider (1977) e Per tutti gli sguardi (1977).
Giovanni Battista deforma le sofferenze del corpo con spietata lucidità ritraendo l'anima tra atroci e sfiguranti dolori. La condizione esistenziale delle figure femminili appare nostra - come nella pittura di Francis Bacon - un preinferno terreno, una sorta di prigionia, solitudine e sofferenza.
Luce e aspetti ossessivi della vita del personaggio femminile in Patchwork (2007), ma anche la cosmesi e le cura di bellezza Che cosa (1979) sono sviluppate in chiave ironica. Ma assunto come impegno critico, il disegno e la pittura di elevata qualità formale lasciano trasparire la voluttà insieme sadica e masochistica del colore. Nell’esposizione di “Castelbellino Arte” ha riacceso su Giovanni Battista De Andreis l'ultima espressione estetica del sublime che pone la lucida constatazione della realtà a confronto con le più alte espressioni ideali, benché frustrate, dall'anima di Chiara v. E. (1986) che diventa uno strumento di adattamento tra i tanti oggetti nella stanza per creare un’identità libera da rapporti pulsionali.
Pittore, scultore, incisore, scrittore, De Andreis ha tenuto la prima personale a Imperia nel 1954, all'età di sedici anni. Allievo privilegiato di Emilio Scanavino al Liceo Artistico Nicolo' Barabino di Genova, appena diplomato si trasferisce a Milano, dove conosce e frequenta i protagonisti dell'avanguardia milanese di quegli anni, tra cui Lucio Fontana e il gruppo “spaziale”. A Cervo, una giuria composta da Felice Casorati e Francesco Menzio gli assegna il Premio Pennello d'oro 1956. A partire da allora lo studio della pittura classica, soprattutto barocca, accende irreali cromatismi in opere personali e di forte intensità, tese a ritrattare il dualismo astrazione-figurazione.
De Andreis ha vissuto fino al 1985 a Milano, poi per circa 10 anni in Liguria, e tuttora, da 15 anni, ad Agugliano nelle Marche, dove vive con la moglie Stefania Massaccesi. Ha condiviso amicizia e creatività di protagonisti quali Salvatore Fiume, Maurice Henry, Luciano Berio, Gasto'n Orellana, Federico Zeri, Karl Plattner, Roberto Garcia York, Ibrahim Kodra, Renato Carosone, Roberto Zamperini, Bepy Tay, Arturo Carmassi, Gilberto Cavicchioli, Ennio Calabria, Gabriele Mucchi, Franz Borghese, Ernesto Treccani, Domenico Purificato, Elio Galasso, Vanni Viviani, Piero Leddi, Davide Lajolo.
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