sabato 26 luglio 2014

Andy Warhol a Napoli

di Federica Amalfitano

Quanto può ancora l’uomo moderno, così costantemente martellato da immagini e suoni, meravigliarsi e godere appieno di fronte alle opere di Andy Warhol? Ancora molto. L’affluenza alla mostra Vetrine, organizzata da Achille Bonito Oliva presso il Palazzo delle Arti di Napoli, ne è stata la prova, la conferma positiva.
La mostra, conclusasi lo scorso 20 luglio ed inaugurata il 18 aprile, ha ricordato al pubblico lo stretto rapporto che Warhol ebbe con Napoli a partire dagli anni ‘70, grazie all’amicizia con il gallerista Lucio Amelio. Ad emergere il carattere eclettico dell’artista, l’enorme dimestichezza nel muoversi fra mondi diversi: la pittura, la musica, il giornalismo, la moda. 150 opere di varia natura, di colori e materiali differenti, esposte sui due piani del PAN, dagli schizzi realizzati come cover di album musicali – celeberrima è quella dei Rolling Stones – alle immagini disegnate per la rivista Interview Magazine, fondata dallo stesso Warhol nel 1969, rivista di celebrità che apre la strada ai nostri settimanali commerciali.
In esposizione anche ritratti di personaggi noti sulla scena culturale del tempo, conosciuti durante le sue visite in Italia: Ernesto Esposito, Graziella Lonardi Buontempo, personaggi noti ed uomini e donne senza tempo, come Jacqueline Kennedy. La potenza mediatica del gigante della Popular art americana si vede tutta nella ripetizione seriale, di volti come di oggetti, dai visi variamente dipinti di Marilyn Monroe alla ripetizione serigrafica dei barattoli di zuppa Campbell. Qui irrompe il messaggio e la filosofia della Pop art, la volontà di svuotare l’arte dal suo consolidato contenuto elitario, diventare qualcosa di accessibile a tutti, vicina, economica, esattamente come una lattina di Coca Cola, insomma un’arte per tutti, un cosa tipicamente americana («L’idea dell’America è cosi bella perché quanto più una cosa è livellata, tanto più è americana»).
A chiudere la mostra due opere d’eccezione che segnano il suo legame con Napoli: le raffigurazioni del Vesuvio, note oramai a tutti, immagini dalle cromie diverse, identiche se non per invisibili variazioni. Il vedutismo accademico viene quindi superato con violenza cromatica, imprimendosi nel bagaglio culturale di ognuno. Urgenza espressiva nei quadri come sui giornali. Il disperato Fate presto chiude la mostra, il titolo suggerito da Warhol sulla prima pagina del Mattino del 26 novembre 1980, un urlo di dolore, una richiesta d’aiuto, pochi giorni dopo il terremoto dell’Irpinia, due sole parole, in stampato nero che in modo lucido e conciso rendono la drammaticità dell’evento e che solo un grande genio della comunicazione di massa poteva suggerire a quei tempi.

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