Un intenso viaggio tra le influenze che l’arte contemporanea italiana ha esercitato sull’arte mediterranea dei Paesi del mondo arabo. E’ quello che propone la Camera dei deputati, con una mostra gratuita, aperta al pubblico dal 15 luglio al 30 luglio, intitolata: “Convergenze mediterranee. Artisti arabi tra Italia e Mediterraneo” che sarà inaugurata martedì 14 alle ore 17,00 dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e dal Ministro degli Esteri, Franco Frattini, nella Sala della Lupa. L’ingresso è libero da Palazzo Montecitorio, tutti i giorni dalle 10,00 alle 19,00 (ultimo ingresso alle 18,30) compresi sabato 18 e domenica 19 luglio. Sabato 25 luglio l’apertura sarà fino alle 13 e l’ultimo ingresso alle 12,30, domenica 26 la mostra resterà chiusa.
La mostra consiste di 32 pezzi di artisti “messi a confronto” in un interessante percorso che parte da pittori come Ottorino e Silvio Bicchi junior, il primo fondatore, il secondo direttore fino al 1962 dell’Accademia di disegno e pittura di Alessandria d’Egitto, passando per opere di Antonio Corpora, Carla Accardi, Agostino Bonalumi e Toti Scialoja, approdando a pezzi importanti di artisti come Hussein Madi, Ali Hassoun e Medhat Shafik per l’area del Mashreqe poi di Moses e Nello Levy, Ali Kichou e Slimane Sakhri per l’area del Maghreb.
Quello del rapporto tra arte e cultura italiana e mediterranea è un terreno poco esplorato, e invece ricchissimo di influenze, che questa mostra – curata da Martina Corgnati per il Ministero degli Esteri e ospitata dalla Camera dei deputati – punta a sottolineare e a confermare.
A cavallo tra Ottocento e Novecento, infatti, furono molti gli artisti europei che visitarono il mondo arabo, il Maghreb (Occidente in arabo) e il Mashreq (Oriente in arabo). Renoir, Kandiskye, Matisse tra tutti cercavano una nuova luce e un’ispirazione nelle tecniche essenzialmente decorative del mondo islamico. La proibizione della riproduzione di immagini imposta dal Corano, infatti, fece sviluppare in quei territori tecniche artistiche come le ceramiche, gli stucchi, i vetri e il tessile, dai quali la pittura europea prese molti spunti. Poco incisivo, però, fu lo “scambio” e la contaminazione tra arte europea e mediterranea. Il rigido sistema coloniale di quei tempi, infatti, manteneva inalterate le distanze tra le culture. Per molti artisti locali aperti all’innovazione l’Italia divenne un punto di riferimento. Moltissimi artisti subirono una potente attrazione che li spinse a visitare o a studiare nel nostro Paese. A ondate successive, dal Libano, all’Algeria, dall’Egitto al Marocco, furono in molti gli esponenti di un’elìte araba cosmopolita e curiosa a praticare il “Grand Tour” verso l’Italia.
Da Moses Levy, nato a Tunisi nel 1885 da madre italiana e padre inglese, che studiò in Italia per poi tornare in Africa a esprimere la propria vena artistica agli 82 autori libanesi censiti dall’Associazione Libanesi laureati in Italia nei primi 50 anni del ‘900, passando per l’Egitto e il Marocco sono centinaia gli artisti che hanno subìto il fascino e l’attrazione dell’ “Italian Manner” che poi hanno rielaborato in patria sintetizzando uno stile proprio, ma dalle radici chiaramente rintracciabili. Una influenza che continua fino ai giorni nostri (molte delle opere esposte sono recentissime) e che dimostra l’esistenza – come scrive il Presidente della Camera Gianfranco Fini nella prefazione al catalogo - di “un ininterrotto processo fondato sul dialogo” che permette “agli artisti di tutto il mondo di incontrarsi, aggiornarsi e crescere culturalmente presso le università e le accademie”. In un vortice di emozioni che poi si può riproporre nella vita e nel confronto culturale di tutti i giorni.
La mostra consiste di 32 pezzi di artisti “messi a confronto” in un interessante percorso che parte da pittori come Ottorino e Silvio Bicchi junior, il primo fondatore, il secondo direttore fino al 1962 dell’Accademia di disegno e pittura di Alessandria d’Egitto, passando per opere di Antonio Corpora, Carla Accardi, Agostino Bonalumi e Toti Scialoja, approdando a pezzi importanti di artisti come Hussein Madi, Ali Hassoun e Medhat Shafik per l’area del Mashreqe poi di Moses e Nello Levy, Ali Kichou e Slimane Sakhri per l’area del Maghreb.
Quello del rapporto tra arte e cultura italiana e mediterranea è un terreno poco esplorato, e invece ricchissimo di influenze, che questa mostra – curata da Martina Corgnati per il Ministero degli Esteri e ospitata dalla Camera dei deputati – punta a sottolineare e a confermare.
A cavallo tra Ottocento e Novecento, infatti, furono molti gli artisti europei che visitarono il mondo arabo, il Maghreb (Occidente in arabo) e il Mashreq (Oriente in arabo). Renoir, Kandiskye, Matisse tra tutti cercavano una nuova luce e un’ispirazione nelle tecniche essenzialmente decorative del mondo islamico. La proibizione della riproduzione di immagini imposta dal Corano, infatti, fece sviluppare in quei territori tecniche artistiche come le ceramiche, gli stucchi, i vetri e il tessile, dai quali la pittura europea prese molti spunti. Poco incisivo, però, fu lo “scambio” e la contaminazione tra arte europea e mediterranea. Il rigido sistema coloniale di quei tempi, infatti, manteneva inalterate le distanze tra le culture. Per molti artisti locali aperti all’innovazione l’Italia divenne un punto di riferimento. Moltissimi artisti subirono una potente attrazione che li spinse a visitare o a studiare nel nostro Paese. A ondate successive, dal Libano, all’Algeria, dall’Egitto al Marocco, furono in molti gli esponenti di un’elìte araba cosmopolita e curiosa a praticare il “Grand Tour” verso l’Italia.
Da Moses Levy, nato a Tunisi nel 1885 da madre italiana e padre inglese, che studiò in Italia per poi tornare in Africa a esprimere la propria vena artistica agli 82 autori libanesi censiti dall’Associazione Libanesi laureati in Italia nei primi 50 anni del ‘900, passando per l’Egitto e il Marocco sono centinaia gli artisti che hanno subìto il fascino e l’attrazione dell’ “Italian Manner” che poi hanno rielaborato in patria sintetizzando uno stile proprio, ma dalle radici chiaramente rintracciabili. Una influenza che continua fino ai giorni nostri (molte delle opere esposte sono recentissime) e che dimostra l’esistenza – come scrive il Presidente della Camera Gianfranco Fini nella prefazione al catalogo - di “un ininterrotto processo fondato sul dialogo” che permette “agli artisti di tutto il mondo di incontrarsi, aggiornarsi e crescere culturalmente presso le università e le accademie”. In un vortice di emozioni che poi si può riproporre nella vita e nel confronto culturale di tutti i giorni.
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