martedì 7 ottobre 2008

La leggenda di Venosa nel destino di un eroe

 di Nicola Di Tommaso

Quando tutti i sacrifici sono fatti agli Dei, questi, se scelti bene, sanno ricambiare lautamente. Era sicuramente ciò in cui speravano gli auguri (i sacerdoti romani) quando scelsero il pianoro venosino per edificare una potente colonia, che doveva servire a proteggere Roma dagli attacchi dei popoli Apuli e Lucani. Va ricordato in proposito, che vi sono diverse fonti storiche e archeologiche che riportano Venosa ad un origine preromana, fra cui Dionigi di Alicarnasso (Antiqu. 17, 18, 5) riferisce che già nel IV secolo (prima della fondazione romana del 291 a. C.) Venusia era una città πολυάνθροπος (città popolosa) difesa da massicce mura, che godeva di caratteristiche tipiche di una repubblica; aveva il suo senato, l’esercito, leggi proprie e monete coniate con il monogramma VE. Anche se in realtà non sappiamo se vi sia mai stato un rito di fondazione nella nascita di Venusia romana, ciò che sappiamo è che il centro preromano doveva essere un incrocio di molteplici e importanti vie provenienti da ogni direzione, con una posizione particolarmente felice nelle comunicazioni dell’Italia meridionale.
I romani pertanto, lungimiranti nella gestione politica e territoriale del sito, lo colonizzarono ed eseguirono l’impianto coloniale alla perfezione, curandolo fin nei minimi dettagli, se ancora una volta, come per le tante e meravigliose opere antiche d’ingegneria urbana (di cui Venosa conserva un interessantissimo esempio come l’acquedotto romano lungo l’odierna Via Appia, che ha rifornito la città per ben 2000 anni!), la storia diede ragione loro in tutto e per tutto. Venosa infatti, può a tutt’oggi essere considerata l’unica città della sua regione che dalla nascita, vive, sopravvive, e risorge, senza soluzione di continuità, fra invasioni, periodi di splendore e di decadimento. Ma per gli amanti di miti, storie e leggende però, non poteva essere altrimenti; l’antico pianoro ricco di acque e sorgenti, posto fra i due verdi valloni (Ruscello e Reale) vantava già epiche ascendenze. La leggenda della prima fondazione di Venosa risale, infatti, all’arrivo del mitico eroe greco Diomede in viaggio dopo la caduta di Troia. Dopo il grande evento, secondo il mito omerico, il figlio protetto della dea Atena fu il primo tra tutti gli Achei a tornare in patria, ad Argo (di cui Diomede era divenuto re dopo la morte del vecchio sovrano, ovvero il padre della sua futura moglie Egialea, perito durante la seconda guerra contro Tebe, a cui aveva inoltre valorosamente partecipato lo stesso Diomede).
Il veloce ritorno era però opera di Afrodite, ansiosa di vendicarsi dell’offesa ricevuta durante la guerra; ricordiamo infatti, che il figlio di Tideo, simile a un torrente in piena che tutto travolge, nel pieno dello scontro contro i troiani, ferì a una mano la più bella delle dee mentre tentava di sottrarre il figlio Enea (il futuro fondatore di Roma) alla furia dell’eroe. Al suo ritorno ad Argo quindi, né sua moglie Egialea né i suoi sudditi lo riconobbero più: Afrodite aveva cancellato il ricordo del eroe-re dalla loro memoria.
Ancora una volta il destino condusse pertanto l’eroe ad abbandonare la sua città e ad avventurarsi questa volta per l'Italia, con l’intento forse di ottenere il perdono della dea nata dalla spuma del mare (Afrodite). Imbarcatosi, Diomede si fermò nei porti dell’Adriatico e insegnò alle popolazioni locali a navigare (arte sotto la protezione di Afrodite) e ad addomesticare i cavalli. Da campione della guerra Diomede divenne così l’eroe del mare e della diffusione della civiltà greca o meglio “l’eroe della civilizzazione” come in seguito verrà definito, per aver a lungo navigato e per aver fondato diverse città della costa adriatica e della Daunia, come Canusium, Arpi, Sipontum e Luceria.
Infine, per placare l’ira di Afrodite (Diomedes... Venusiam in satisfactionem Veneris, quod eius ira sedes patrias invenire non poterat: quae Aphrodysias dicta est, Servio ad Aen. II, 216) fonda Venusia (Venere infatti, dea dell'amore, della sessualità e della bellezza, come sappiamo è nella mitologia romana, l’equivalente di Afrodite nel pantheon greco) e ottiene il desiderato perdono. Dopo il lungo viaggio l’eroe decise però di non tornare più in patria ma di stabilirsi in Italia meridionale, sposando la principessa Evippe (figlia del re Dauno, signore dell’antico popolo indigeno dei Dauni). Una spiaggia delle Isole Tremiti divenne il luogo di sepoltura dell’eroe greco e, sempre secondo la leggenda, i suoi compagni vennero trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini: le “diomedee”, allo scopo di bagnare per sempre la tomba del grande eroe Diomede.