La collezione d’Errico è una delle raccolte private meridionali più importanti e certamente la prima della Lucania. Per la cospicua presenza di opere di scuola napoletana di cui si compone, ci offre un’ottima testimonianza del gusto lucano, o meglio meridionale nell’Ottocento. La collezione è attualmente ospitata a Matera, nelle sale del Museo Nazionale di Arte Medievale e Moderna della Basilicata presso Palazzo Lanfranchi, dove sono esposte soltanto 67 delle 304 tele, mentre la parte libraria è conservata nella Biblioteca Provinciale, presso il Palazzo dell’Annunziata.
La storia di questa raccolta ha radici lontane. Alla metà dell’Ottocento Camillo d’Errico inizia a collezionare dipinti, ma ancora prima il padre, Agostino, lasciando così alla sua morte l’espresso desiderio di erigere un Ente Morale, legato al suo nome e alle sue volontà.
Camillo d’Errico, originario di Palazzo San Gervasio, paese in provincia di Potenza, è un benefattore, un mecenate, un uomo di grande prestigio; nel 1892 il biografo napoletano Domenico Amato, in un volume dedicato agli uomini illustri contemporanei, così tratteggiava il profilo di Camillo: «La sua amministrazione è un modello di regalità e di ordine…un esempio di rettitudine e correttezza…gentile con tutti…insignito dal Re del grado onorifico di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia…non risplende di eroismo come i generali sui campi di battaglia, ma rifulge di quelle rare virtù civili che tornano tanto proficue all’umanità».
Camillo fu amante della cultura, dell’arte e della pittura, in particolar modo di quella napoletana. I dipinti che colleziona riflettono una predilezione spiccatamente partenopea, tipica di un gusto artistico che si diffonde tra le grandi famiglie aristocratiche napoletane del XVII e XVIII secolo, ma che risulta ormai “fuori moda”.
Camillo subirà il fascino di una pittura con esiti prevalentemente barocchi, in un periodo in cui, la cultura europea, specialmente quella di fine Ottocento, soffriva di quel male oscuro, di quella “condanna del barocco”, per dirla con le parole dello storico dell’arte Heinrich Wolfflin.
La predilezione del mecenate lucano verso un genere di pittura più frivolo e leggero, di stampo marcatamente laico, si farà portavoce di tutta la collezione e si rifletterà nell’allestimento delle pareti nel palazzo di famiglia; lo dimostra la maggior parte dei dipinti raccolti, quasi tutti del XVIII secolo che illustrano soggetti di genere e quotidiani, passatempi preferiti dalla nuova classe aristocratica, come concerti, ma anche nature morte come trofei di caccia e ancora, una predilezione per un genere storico mitologico perfettamente in linea con un collezionismo napoletano affermatosi tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.
La raccolta vanta per la precisione 304 dipinti, per la maggior parte tele, ma anche 18 dipinti su vetro, 12 su rame, 4 dipinti su supporto ligneo e una piccola serie di piatti in porcellana dipinta, oltre a 6000 volumi e 500 stampe, collezionate da Camillo a partire dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, e rimase integra fino alla sua morte, avvenuta nel 1897, quando il Cavaliere espresse le proprie volontà testamentarie, volendo legare la sua collezione al pubblico godimento e stabilendo precise condizioni di conservazione e fruizione, tra le quali l’Istituzione di un Ente Morale a cui intese affidare la proprietà e la cura dei suoi preziosi beni: costituire un ente di interesse pubblico culturale che porti il suo nome e che sia in perpetuo, lustro e decoro al suo casato.
Ma la sua volontà di eliminare dai diritti della successione i nipoti, la generazione a lui più vicina, sarà uno dei fattori di squilibrio all’interno dei rapporti familiari che aprì la strada, in breve tempo, a una serie di vicende giudiziarie. Le prescrizioni stabilite da Camillo non vennero adempiute e tra sequestri e commissariamenti del patrimonio, si raggiunse un compromesso che portò all’emanazione della legge n. 1082 del 13 Luglio 1939, in base alla quale “il Ministero dell’Educazione Nazionale destinerà all’uopo locali adatti in Matera, con la facoltà di aggregare la biblioteca e la pinacoteca ad altre istituzioni similari della città”.
La più importante quadreria della Basilicata è ora esposta nelle sale del Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna istituito nel 2003. Esposti soltanto in 67, gli altri dipinti della collezione sono stati sottoposti sempre di più negli anni passati all’attenzione di vari studiosi che dopo accurati restauri hanno potuto avanzare nuove proposte di attribuzione e ancora oggi sono oggetto di studio di seminari di approfondimento.
La collezione attraversa i territori della pittura delle più importanti scuole italiane del Seicento e del Settecento, comprendendo dipinti di scuola bolognese, romana, lombarda e fiamminga, ma quelli di scuola napoletana, da quello che si evince dai cataloghi, costituiscono la parte preponderante del nucleo pittorico, oltre a numerosi altri dipinti cruciali che stanno trovando, per merito di studi compiuti in occasione delle mostre allestite, una più definita attribuzione, soprattutto in ambito meridionale. Il fatto che la maggior parte delle opere appartenesse alla scuola napoletana, ha fatto pensare naturalmente, che uno dei criteri adottati nella scelta dei dipinti, probabilmente il principale, sia stato proprio quello di privilegiare l’arte partenopea. Le opere partenopee, si scalano principalmente tra i primi decenni del XVII secolo e gli ultimi del secolo successivo, non a caso i secoli d’oro della pittura napoletana. Quel Seicento che nonostante la grave crisi economica, politica e sociale, è invece a Napoli, e di riflesso anche nel Regno, un periodo di straordinaria vivacità nel campo delle arti figurative e Napoli condivide con Roma, e in parte con Bologna, il ruolo di grande capitale dell’arte.
L’arte napoletana assume una propria identità artistica proprio in questo secolo, con alcuni importanti pittori che si faranno eredi della lezione del Caravaggio, di un naturalismo che caratterizzerà la pittura di quel periodo, quello stesso naturalismo che attraverserà le tele della nostra collezione.
Tra i più importanti esponenti di scuola napoletana del Seicento presenti nella collezione, Giuseppe Recco, Giovan Battista Ruoppolo, Salvator Rosa e seguaci, Massimo Stanzione, lo Spagnoletto, Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, Andrea Vaccaro, Mattia Preti, Bartolomeo Passante e Aniello Falcone.
Ma il Settecento è decisamente il secolo più rappresentato nella raccolta, tra i protagonisti, Baldassarre De Caro, Domenico Brandi, Leonardo Coccorante, Luca Giordano, Giacomo Del Po, Francesco Solimena, Pietro Graziani, Gaetano Martoriello, Piero Bardellino, Aniello Ascione, Nicola Viso ed Elena Recco.
Le opere di scuola italiana e straniera sono presenti in misura nettamente minore; opere della scuola romana di Carlo Dolci, della scuola bolognese dei fratelli Carracci, Guido Reni, del Guercino, Lanfranco e lo Schedoni e ancora della scuola veneta di Jacopo Bassano e Paris Bordone e di quella fiamminga di Antonio Van Dick, Abraham Brueghel, Pieter Snayers e Jan Miel. A questi bisogna aggiungere un limitato numero di dipinti dell’Ottocento, per la maggior parte ritratti, genere diffuso nel variegato panorama della pittura risorgimentale e post-unitaria; Raffaele Barbieri, pittore di Spinazzola, comune pugliese che confina a ovest con la Lucania, regione di cui ha fatto parte fino al 1811, citato dalle fonti come amico e consigliere di Camillo e figura di cui si avvalse il mecenate nell’acquisto delle opere. E ancora, Giacomo di Chirico, pittore dalle origini lucane attivo a Napoli e Luigi Stanziani.
Un Ottocento lucano che ha una dignitosa collocazione nella produzione artistica meridionale; si delineano proprio in quel periodo in Basilicata delle notevoli personalità, giovani fortemente dotati inviati a studiare a Napoli presso il reale Istituto di Belle Arti. Sono artisti quasi dimenticati, ma che furono protagonisti, specialmente Di Chirico, di una stagione artistica, quella napoletana, che dette un apporto notevole all’arte moderna.
Naturalmente, una delle principali peculiarità della quadreria è proprio data dal fatto che emergono prevalentemente tele seicentesche e settecentesche che Camillo iniziò a collezionare alla metà del XIX secolo, probabilmente gli anni successivi alla morte del padre, che lo lasciò erede di un ingente patrimonio.
Camillo si assicurò una parte importante di una delle principali collezioni napoletane, la quadreria de Marinis-de Sangro, smembrata alla morte del Principe di Fondi e ai quali, con l’Unità d’Italia i d’Errico subentrarono come nuova classe dirigente, integrando questo primo nucleo attraverso acquisti effettuati sul mercato napoletano con la mediazione e il consiglio certamente di esperti e conoscitori, di cui fu anche committente probabilmente, legandosi allo stesso tempo ad un ruolo di mecenate e collezionista.
La storia di questa raccolta ha radici lontane. Alla metà dell’Ottocento Camillo d’Errico inizia a collezionare dipinti, ma ancora prima il padre, Agostino, lasciando così alla sua morte l’espresso desiderio di erigere un Ente Morale, legato al suo nome e alle sue volontà.
Camillo d’Errico, originario di Palazzo San Gervasio, paese in provincia di Potenza, è un benefattore, un mecenate, un uomo di grande prestigio; nel 1892 il biografo napoletano Domenico Amato, in un volume dedicato agli uomini illustri contemporanei, così tratteggiava il profilo di Camillo: «La sua amministrazione è un modello di regalità e di ordine…un esempio di rettitudine e correttezza…gentile con tutti…insignito dal Re del grado onorifico di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia…non risplende di eroismo come i generali sui campi di battaglia, ma rifulge di quelle rare virtù civili che tornano tanto proficue all’umanità».
Camillo fu amante della cultura, dell’arte e della pittura, in particolar modo di quella napoletana. I dipinti che colleziona riflettono una predilezione spiccatamente partenopea, tipica di un gusto artistico che si diffonde tra le grandi famiglie aristocratiche napoletane del XVII e XVIII secolo, ma che risulta ormai “fuori moda”.
Camillo subirà il fascino di una pittura con esiti prevalentemente barocchi, in un periodo in cui, la cultura europea, specialmente quella di fine Ottocento, soffriva di quel male oscuro, di quella “condanna del barocco”, per dirla con le parole dello storico dell’arte Heinrich Wolfflin.
La predilezione del mecenate lucano verso un genere di pittura più frivolo e leggero, di stampo marcatamente laico, si farà portavoce di tutta la collezione e si rifletterà nell’allestimento delle pareti nel palazzo di famiglia; lo dimostra la maggior parte dei dipinti raccolti, quasi tutti del XVIII secolo che illustrano soggetti di genere e quotidiani, passatempi preferiti dalla nuova classe aristocratica, come concerti, ma anche nature morte come trofei di caccia e ancora, una predilezione per un genere storico mitologico perfettamente in linea con un collezionismo napoletano affermatosi tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.
La raccolta vanta per la precisione 304 dipinti, per la maggior parte tele, ma anche 18 dipinti su vetro, 12 su rame, 4 dipinti su supporto ligneo e una piccola serie di piatti in porcellana dipinta, oltre a 6000 volumi e 500 stampe, collezionate da Camillo a partire dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, e rimase integra fino alla sua morte, avvenuta nel 1897, quando il Cavaliere espresse le proprie volontà testamentarie, volendo legare la sua collezione al pubblico godimento e stabilendo precise condizioni di conservazione e fruizione, tra le quali l’Istituzione di un Ente Morale a cui intese affidare la proprietà e la cura dei suoi preziosi beni: costituire un ente di interesse pubblico culturale che porti il suo nome e che sia in perpetuo, lustro e decoro al suo casato.
Ma la sua volontà di eliminare dai diritti della successione i nipoti, la generazione a lui più vicina, sarà uno dei fattori di squilibrio all’interno dei rapporti familiari che aprì la strada, in breve tempo, a una serie di vicende giudiziarie. Le prescrizioni stabilite da Camillo non vennero adempiute e tra sequestri e commissariamenti del patrimonio, si raggiunse un compromesso che portò all’emanazione della legge n. 1082 del 13 Luglio 1939, in base alla quale “il Ministero dell’Educazione Nazionale destinerà all’uopo locali adatti in Matera, con la facoltà di aggregare la biblioteca e la pinacoteca ad altre istituzioni similari della città”.
La più importante quadreria della Basilicata è ora esposta nelle sale del Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna istituito nel 2003. Esposti soltanto in 67, gli altri dipinti della collezione sono stati sottoposti sempre di più negli anni passati all’attenzione di vari studiosi che dopo accurati restauri hanno potuto avanzare nuove proposte di attribuzione e ancora oggi sono oggetto di studio di seminari di approfondimento.
La collezione attraversa i territori della pittura delle più importanti scuole italiane del Seicento e del Settecento, comprendendo dipinti di scuola bolognese, romana, lombarda e fiamminga, ma quelli di scuola napoletana, da quello che si evince dai cataloghi, costituiscono la parte preponderante del nucleo pittorico, oltre a numerosi altri dipinti cruciali che stanno trovando, per merito di studi compiuti in occasione delle mostre allestite, una più definita attribuzione, soprattutto in ambito meridionale. Il fatto che la maggior parte delle opere appartenesse alla scuola napoletana, ha fatto pensare naturalmente, che uno dei criteri adottati nella scelta dei dipinti, probabilmente il principale, sia stato proprio quello di privilegiare l’arte partenopea. Le opere partenopee, si scalano principalmente tra i primi decenni del XVII secolo e gli ultimi del secolo successivo, non a caso i secoli d’oro della pittura napoletana. Quel Seicento che nonostante la grave crisi economica, politica e sociale, è invece a Napoli, e di riflesso anche nel Regno, un periodo di straordinaria vivacità nel campo delle arti figurative e Napoli condivide con Roma, e in parte con Bologna, il ruolo di grande capitale dell’arte.
L’arte napoletana assume una propria identità artistica proprio in questo secolo, con alcuni importanti pittori che si faranno eredi della lezione del Caravaggio, di un naturalismo che caratterizzerà la pittura di quel periodo, quello stesso naturalismo che attraverserà le tele della nostra collezione.
Tra i più importanti esponenti di scuola napoletana del Seicento presenti nella collezione, Giuseppe Recco, Giovan Battista Ruoppolo, Salvator Rosa e seguaci, Massimo Stanzione, lo Spagnoletto, Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, Andrea Vaccaro, Mattia Preti, Bartolomeo Passante e Aniello Falcone.
Ma il Settecento è decisamente il secolo più rappresentato nella raccolta, tra i protagonisti, Baldassarre De Caro, Domenico Brandi, Leonardo Coccorante, Luca Giordano, Giacomo Del Po, Francesco Solimena, Pietro Graziani, Gaetano Martoriello, Piero Bardellino, Aniello Ascione, Nicola Viso ed Elena Recco.
Le opere di scuola italiana e straniera sono presenti in misura nettamente minore; opere della scuola romana di Carlo Dolci, della scuola bolognese dei fratelli Carracci, Guido Reni, del Guercino, Lanfranco e lo Schedoni e ancora della scuola veneta di Jacopo Bassano e Paris Bordone e di quella fiamminga di Antonio Van Dick, Abraham Brueghel, Pieter Snayers e Jan Miel. A questi bisogna aggiungere un limitato numero di dipinti dell’Ottocento, per la maggior parte ritratti, genere diffuso nel variegato panorama della pittura risorgimentale e post-unitaria; Raffaele Barbieri, pittore di Spinazzola, comune pugliese che confina a ovest con la Lucania, regione di cui ha fatto parte fino al 1811, citato dalle fonti come amico e consigliere di Camillo e figura di cui si avvalse il mecenate nell’acquisto delle opere. E ancora, Giacomo di Chirico, pittore dalle origini lucane attivo a Napoli e Luigi Stanziani.
Un Ottocento lucano che ha una dignitosa collocazione nella produzione artistica meridionale; si delineano proprio in quel periodo in Basilicata delle notevoli personalità, giovani fortemente dotati inviati a studiare a Napoli presso il reale Istituto di Belle Arti. Sono artisti quasi dimenticati, ma che furono protagonisti, specialmente Di Chirico, di una stagione artistica, quella napoletana, che dette un apporto notevole all’arte moderna.
Naturalmente, una delle principali peculiarità della quadreria è proprio data dal fatto che emergono prevalentemente tele seicentesche e settecentesche che Camillo iniziò a collezionare alla metà del XIX secolo, probabilmente gli anni successivi alla morte del padre, che lo lasciò erede di un ingente patrimonio.
Camillo si assicurò una parte importante di una delle principali collezioni napoletane, la quadreria de Marinis-de Sangro, smembrata alla morte del Principe di Fondi e ai quali, con l’Unità d’Italia i d’Errico subentrarono come nuova classe dirigente, integrando questo primo nucleo attraverso acquisti effettuati sul mercato napoletano con la mediazione e il consiglio certamente di esperti e conoscitori, di cui fu anche committente probabilmente, legandosi allo stesso tempo ad un ruolo di mecenate e collezionista.
Nessun commento :
Posta un commento