Le origini del culto michaelico, legato quindi alla figura di San Michele Arcangelo, sono da ricercare nel passato orientale, soprattutto nel contesto bizantino inerente ai Michaelicon, gli edifici di culto costruiti per la venerazione del Santo. Il culto poi si avvicinò all’occidente grazie alle diffusioni monastiche dei basiliani, assimilate particolarmente in Italia meridionale. In questa cornice devozionale il culto venne particolarmente avvertito sotto i Longobardi che, dopo essere stati evangelizzati e convertiti, scelsero Michele come protettore delle loro conquiste. Si comportarono allo stesso modo nei confronti del Santo i Franchi di Clodoveo e i Normanni. Successivamente la maggior parte dei santuari michaelici erano concentrati sulla cima delle montagne o all’interno di grotte. Si parla di luogo del culto di San Michele anche nei pressi di fonti d’acqua, in quanto l’Arcangelo era considerato un terapeuta ed un operatore di miracoli per mezzo dell’acqua e dell’olio.
Tutt’oggi restringendo il campo d’indagine al solo Vallo di Diano, i punti di maggiore sacralità sono Sant’Angelo a Fasanella, San Michele alle Grottelle di Padula e, appunto, San Michele di Sala. Questo si erge sul monte Balzata, con la tipica fisionomia del Santuario, nella catena appenninica della Maddalena. Una valente attestazione artistica della figura del Santo Guerriero ci perviene da un affresco cinquecentesco integrato alla struttura rinascimentale del sacrario. Ubicato nel cappellino sul retro-altare maggiore, raffigura l’Arcangelo in una discesa ad ali spiegate nell’atto di conficcare la picca nella bocca del diavolo ormai sconfitto. Nell’altra mano regge una bilancia. Il corpo del demonio è umano, con coda di serpente, mani e piedi unghiuti, nonché occhi sbarrati e orecchie sgorganti fuoco. Non conoscendo una diretta attestazione cronologica, l’opera può essere iconograficamente attribuita ad una raffigurazione di gusto locale di metà cinquecento. Tale soluzione risulta essere un compromesso di varie ipotesi che inquadrano l’opera in un periodo di marcata staticità in cui appunto si rispecchia l’affresco. Altro espediente tipicamente tardo- rinascimentale è la bilancia, dato che nel ‘500 il Santo fu considerato psicosta, ossia pesatore di anime. Anche il repertorio cromatico evidenzia una ricchezza di forte richiamo alla vivacità pittorica cinquecentesca.
Gli affreschi recentemente rinvenuti nei pennacchi laterali dell’abside centrale, completano il ciclo del piccolo affresco in un insieme omogeneo. Nelle due lunette viene rappresentata l’Annunciazione, così da evidenziare il grande valore mistico nella figura del Santo. La scena viene suddivisa con Maria sorpresa dall’angelo nella lunetta di destra, e l’Angelo in discesa in quello di sinistra. Qui Michele viene raffigurato con la tipica veste di stoffa rigonfia sui fianchi, in un forte dinamismo del panneggio mosso dal vento e con in mano un giglio a tre fiori (alludendo alla purezza di Maria prima, durante e dopo il parto). Attualmente il trittico affrescato appare notevolmente “segnato” sullo spazio centrale da una profonda crepatura, proprio sul corpo di Michele: una leggenda popolare legata al culto del posto custodisce e vuole che, in un’epoca ormai lontana, una notevole scossa di terremoto sorprese la popolazione di Sala. Allora San Michele discese sul monte e audacemente annunciò “Mio Signore, lacera me, ma salva i salesi…”.
Tutt’oggi restringendo il campo d’indagine al solo Vallo di Diano, i punti di maggiore sacralità sono Sant’Angelo a Fasanella, San Michele alle Grottelle di Padula e, appunto, San Michele di Sala. Questo si erge sul monte Balzata, con la tipica fisionomia del Santuario, nella catena appenninica della Maddalena. Una valente attestazione artistica della figura del Santo Guerriero ci perviene da un affresco cinquecentesco integrato alla struttura rinascimentale del sacrario. Ubicato nel cappellino sul retro-altare maggiore, raffigura l’Arcangelo in una discesa ad ali spiegate nell’atto di conficcare la picca nella bocca del diavolo ormai sconfitto. Nell’altra mano regge una bilancia. Il corpo del demonio è umano, con coda di serpente, mani e piedi unghiuti, nonché occhi sbarrati e orecchie sgorganti fuoco. Non conoscendo una diretta attestazione cronologica, l’opera può essere iconograficamente attribuita ad una raffigurazione di gusto locale di metà cinquecento. Tale soluzione risulta essere un compromesso di varie ipotesi che inquadrano l’opera in un periodo di marcata staticità in cui appunto si rispecchia l’affresco. Altro espediente tipicamente tardo- rinascimentale è la bilancia, dato che nel ‘500 il Santo fu considerato psicosta, ossia pesatore di anime. Anche il repertorio cromatico evidenzia una ricchezza di forte richiamo alla vivacità pittorica cinquecentesca.
Gli affreschi recentemente rinvenuti nei pennacchi laterali dell’abside centrale, completano il ciclo del piccolo affresco in un insieme omogeneo. Nelle due lunette viene rappresentata l’Annunciazione, così da evidenziare il grande valore mistico nella figura del Santo. La scena viene suddivisa con Maria sorpresa dall’angelo nella lunetta di destra, e l’Angelo in discesa in quello di sinistra. Qui Michele viene raffigurato con la tipica veste di stoffa rigonfia sui fianchi, in un forte dinamismo del panneggio mosso dal vento e con in mano un giglio a tre fiori (alludendo alla purezza di Maria prima, durante e dopo il parto). Attualmente il trittico affrescato appare notevolmente “segnato” sullo spazio centrale da una profonda crepatura, proprio sul corpo di Michele: una leggenda popolare legata al culto del posto custodisce e vuole che, in un’epoca ormai lontana, una notevole scossa di terremoto sorprese la popolazione di Sala. Allora San Michele discese sul monte e audacemente annunciò “Mio Signore, lacera me, ma salva i salesi…”.
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