giovedì 28 aprile 2011

Donne a Venezia: trionfo di colore

di Sonia Gammone

Con il Cinquecento si apre per Venezia un periodo di grande fervore artistico che vedrà la città lagunare protagonista di un “duello” a distanza con Firenze e la sua arte ormai affermata. La pittura veneta si fonda su principi molto diversi da quelli della pittura fiorentina. Mentre in quest’ultima la natura è sottomessa all’uomo, a Venezia vi è sempre un intimo rapporto tra uomo e natura. A Firenze prevalgono la linea, il disegno, la forma, il volume; a Venezia invece trionfa il colore che, a partire dalla lezione di Giorgione e poi con Tiziano, prevale sul disegno tanto da arrivare a sostituirlo nella definizione delle forme. Nasce così la pittura tonale che riesce ad ottenere effetti di luce, ombra e spazio senza il chiaroscuro e senza il disegno ma solo con le variazioni di colore. Tiziano Vercellio ne sarà il massimo interprete: il colore è in alcuni casi festoso e intenso, in altri scomposto e acceso da improvvisi colpi di luce. Egli diventerà in breve tempo l’artista prediletto di molte corti italiane, soprattutto come ritrattista.
Molte delle sue opere più belle raffigurano soggetti mitologici e tra esse ne è un esempio magnifico la Venere di Urbino. Secondo molti critici quest’opera raffigura la celebrazione dell’amore coniugale. La giovane donna, identificata con la dea Venere, è ritratta nuda sdraiata su un divano in un sontuoso ambiente rinascimentale. Il suo sguardo è rivolto verso lo spettatore che è subito attratto dalla luminosità della dea, esaltata e ravvivata dal rosso dei cuscini e della gonna della domestica. Il vaso di mirto alla finestra rappresenta la costanza in amore, così come le rose che la giovane donna tiene in mano, sono simbolo dell’amore duraturo; e ancora, il cane che dorme ai suoi piedi, simbolo di fedeltà. Quest’opera ha un carattere intimista e caloroso, la sensualità della dea è volutamente erotica.
Altro grande interprete della pittura veneta è Paolo Caliari dello il Veronese, con il quale il colore giunge alla sua massima luminosità, tanto che la sua pittura è definita solare per l’abbagliante intensità cromatica. Anche il Veronese produrrà molte opere con soggetti mitologici. Nel dipinto Venere allo specchio vengono esaltate le forme della dea, il cui viso ritorna in molte altre opere dell’artista. I colori sono caldi e molto luminosi, come la tenda rossa che funge da sfondo o la veste abbassata di un verde intenso che scopre il corpo della Venere seduta di spalle intenta a guardarsi allo specchio. Altra magnifica opera è la Giuditta e Oloferne dipinta nel 1581 circa: contro uno sfondo scuro, in forte contrasto, quasi a voler far dimenticare l’orrendo soggetto, la bella e giovane Giuditta, bionda, dalla carnagione chiara, elegantemente vestita, che regge tra le mani il capo reciso del tiranno.
Con Jacopo Robusti detto il Tintoretto il colore si disgrega sotto l’azione violenta della luce in una serie di bagliori luminosi che contrastano con l’ombra, rendendo la scena drammatica. La sua Danae è uno splendido esempio di questa pittura. La donna è ritratta nuda mentre le monete d’oro, simbolo dell’amore di Giove, cadono dall’alto. Riccamente adornato il suo corpo emerge prepotentemente sullo sfondo fatto di una tenda di un rosso acceso. È luminosa e morbida nella sua posa.
Le donne del mito, ritratte dai maggiori artisti della scuola veneta, scoprono senza timore la propria carnale sensualità. Lontane ormai dallo stereotipo di donna nobile e casta, si mostrano in tutta la loro bellezza terrena.

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