di Sonia Gammone
Con il Cinquecento si apre per
Venezia un periodo di grande fervore artistico che vedrà la città lagunare
protagonista di un “duello” a distanza con Firenze e la sua arte ormai
affermata. La pittura veneta si fonda su principi molto diversi da quelli della
pittura fiorentina. Mentre in quest’ultima la natura è sottomessa all’uomo, a
Venezia vi è sempre un intimo rapporto tra uomo e natura. A Firenze prevalgono
la linea, il disegno, la forma, il volume; a Venezia invece trionfa il colore
che, a partire dalla lezione di Giorgione e poi con Tiziano, prevale sul
disegno tanto da arrivare a sostituirlo nella definizione delle forme. Nasce
così la pittura tonale che riesce ad ottenere effetti di luce, ombra e spazio
senza il chiaroscuro e senza il disegno ma solo con le variazioni di colore.
Tiziano Vercellio ne sarà il massimo interprete: il colore è in alcuni casi
festoso e intenso, in altri scomposto e acceso da improvvisi colpi di luce. Egli
diventerà in breve tempo l’artista prediletto di molte corti italiane,
soprattutto come ritrattista.
Molte delle sue opere più belle
raffigurano soggetti mitologici e tra esse ne è un esempio magnifico la Venere di Urbino. Secondo molti critici
quest’opera raffigura la celebrazione dell’amore coniugale. La giovane donna,
identificata con la dea Venere, è ritratta nuda sdraiata su un divano in un
sontuoso ambiente rinascimentale. Il suo sguardo è rivolto verso lo spettatore
che è subito attratto dalla luminosità della dea, esaltata e ravvivata dal
rosso dei cuscini e della gonna della domestica. Il vaso di mirto alla finestra
rappresenta la costanza in amore, così come le rose che la giovane donna tiene
in mano, sono simbolo dell’amore duraturo; e ancora, il cane che dorme ai suoi
piedi, simbolo di fedeltà. Quest’opera ha un carattere intimista e caloroso, la
sensualità della dea è volutamente erotica.
Altro grande interprete della
pittura veneta è Paolo Caliari dello il Veronese, con il quale il colore giunge
alla sua massima luminosità, tanto che la sua pittura è definita solare per
l’abbagliante intensità cromatica. Anche il Veronese produrrà molte opere con
soggetti mitologici. Nel dipinto Venere
allo specchio vengono esaltate le forme della dea, il cui viso ritorna in
molte altre opere dell’artista. I colori sono caldi e molto luminosi, come la
tenda rossa che funge da sfondo o la veste abbassata di un verde intenso che
scopre il corpo della Venere seduta di spalle intenta a guardarsi allo
specchio. Altra magnifica opera è la Giuditta
e Oloferne dipinta nel 1581 circa: contro uno sfondo scuro, in forte
contrasto, quasi a voler far dimenticare l’orrendo soggetto, la bella e giovane
Giuditta, bionda, dalla carnagione chiara, elegantemente vestita, che regge tra
le mani il capo reciso del tiranno.
Con Jacopo Robusti detto il Tintoretto
il colore si disgrega sotto l’azione violenta della luce in una serie di
bagliori luminosi che contrastano con l’ombra, rendendo la scena drammatica. La
sua Danae è uno splendido esempio di
questa pittura. La donna è ritratta nuda mentre le monete d’oro, simbolo
dell’amore di Giove, cadono dall’alto. Riccamente adornato il suo corpo emerge
prepotentemente sullo sfondo fatto di una tenda di un rosso acceso. È luminosa
e morbida nella sua posa.
Le donne del mito, ritratte dai maggiori artisti della scuola veneta,
scoprono senza timore la propria carnale sensualità. Lontane ormai dallo
stereotipo di donna nobile e casta, si mostrano in tutta la loro bellezza
terrena.
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