Comunicato stampa
Sabato 15 novembre alle ore 18 inaugura, negli spazi Bomben di Treviso, la mostra La pittura come miniera, personale dell’artista Safet Zec (Rogatica, Bosnia-Erzegovina, 1943), una delle figure più significative della ricerca artistica del nostro tempo. Curata da Domenico Luciani, l’esposizione è organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche nel quadro della campagna culturale per i villaggi di Osmače e Brežani, Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2014, ed è dedicata ad Alexander Langer. La mostra sarà aperta fino a domenica 15 febbraio 2015.
Sabato 15 novembre alle ore 18 inaugura, negli spazi Bomben di Treviso, la mostra La pittura come miniera, personale dell’artista Safet Zec (Rogatica, Bosnia-Erzegovina, 1943), una delle figure più significative della ricerca artistica del nostro tempo. Curata da Domenico Luciani, l’esposizione è organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche nel quadro della campagna culturale per i villaggi di Osmače e Brežani, Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2014, ed è dedicata ad Alexander Langer. La mostra sarà aperta fino a domenica 15 febbraio 2015.
Il percorso espositivo
riunisce 64 opere, che coinvolgono tutti i soggetti, i modi, i
supporti e gli strumenti della pittura, dell’incisione e del
disegno, e che raccontano la personale “ricerca” attraverso
l’arte di Safet Zec, dagli anni settanta fino agli ultimi lavori.
Quattro i temi indagati e raccontati in altrettante sezioni della
mostra: Cose,
Persone,
Alberi,
Luoghi.
«Il
lavoro di Safet Zec, continuo a partire dalle prime opere a Sarajevo
alla fine degli anni cinquanta, è un lavoro confrontabile con quello
del minatore. L’artista scende negli strati profondi per cavare la
materia dalla quale trae origine la vita delle forme. Torna su, la
porta con sé, la fa arrivare in superficie e la mette in luce. Ci
aiuta così a domandarci di che cosa sono fatti i pezzi del mondo che
sta intorno a noi; e di che cosa siamo fatti noi stessi. La sua
biografia, segnata dai contesti geografici, dagli scarti storici,
dalle radicali modificazioni culturali del secondo Novecento, ha
trovato nel lavoro artistico il suo mestiere di vivere e nella
solitudine operosa la treccia continua che rende indistinguibili,
avvolte nella stessa vicenda dolente e riservata, le ragioni della
ricerca artistica e quelle della tensione civile. Nonostante la sua
opera disponga ormai di una letteratura critica, nella quale spiccano
i riconoscimenti di Jorge Semprún (Hacer
tiempo, 2006) e
abbia alle spalle una vasta gamma di esposizioni, in ogni parte del
mondo, la sua figura è ancora lontana dall’essere adeguatamente
conosciuta e riconosciuta.
Le ragioni di un’iniziativa
che contribuisca a far circolare più largamente il lavoro di Safet
Zec sono collocate esattamente all’incrocio dei compiti peculiari
di un centro studi, tra diffusione delle conoscenze e approfondimento
delle ricerche. Sul terreno culturale, pur non dimenticando che le
prime mostre italiane sono state promosse da queste stesse parti
(Udine 1993, Conegliano 1994), l’iniziativa trevigiana appare
“necessaria”. Sul terreno della ricerca, la varietà e l’ampiezza
cronologica delle opere esposte offrono una preziosa occasione per
cercare di capire un po’ meglio quale contributo possa venire dai
mezzi propri della pittura allo studio dei luoghi, di tutti i luoghi,
nella infinita varietà e nella metamorfosi inarrestabile dei loro
tratti fisiognomici e caratteri individuali.
Nello scavo implacabile che
questo maestro compie con i suoi attrezzi di pittore, incisore e
disegnatore addosso e dentro a tutti i soggetti a portata di sguardo,
da un cucchiaino a una montagna, da un laccio di scarpe alla chioma
di un grande albero, sempre, al di là delle varie misure e posture
del soggetto, il risultato ci rivela un nuovo pezzetto della
relazione forma-vita.
E ogni volta l’arte, come la
musica, ci sorprende, facendoci arrivare “là dove non eravamo
stati mai”.
Le cose, le persone, gli
alberi, i luoghi sono i quattro pozzi principali della miniera di
Safet Zec; quattro eterni rovelli della ricerca artistica, quelli che
hanno reso grandi Michelangelo, Velasquez, Vermeer, Bacon e gli
altri, con Rembrandt in cima, le figure alle quali egli si rivolge
con un’ammirazione così profonda da contenere, con il pathos della
conoscenza, anche il furto con l’occhio dell’apprendista, e
perfino il gusto della sfida.
Sono quattro centri che dopo
le opere introduttive (in mostra, nn. 1-17), occupano altrettante
aree espositive sulle quali è costruita la sequenza.
Cose
(in mostra, nn. 18-28). Le cose della vita di ogni giorno. Il mondo
vicino prende senso. Riappaiono in una nuova luce indaginosa e
sorprendente gli oggetti e gli attrezzi del tempo e dello spazio
ordinario. Il mestiere del pittore ripensa e ci aiuta a ripensare il
valore di ogni cosa che si trovi intorno a noi.
Persone (in
mostra, nn. 29-37). Le
infinite posture, espressioni, misure del corpo umano, le mani
innanzitutto, gli arti, i visi, e i dettagli più diversi, unghie o
lacrime che siano, trovano inedite composizioni e significati.
Alberi
(in mostra, nn. 38-45).
La scurità e le trasparenze alle quali può arrivare la pittura, e
ancor più l’incisione, affrontano il mondo vegetale, il grande
albero con le sue chiome, le immancabili presenze di fiori e di
frutti nelle tavole della casa, nella finestra che guarda il
giardino.
Luoghi
(in mostra, nn. 46-63).
La paziente accumulazione di strati, dai primi fondi neutri alle
carte incollate fino alle successive incursioni dei pennelli, della
punta, del lapis, la lenta elaborazione e giustapposizione di
infiniti segni, insomma le discese e le risalite del minatore nei
pozzi e nelle gallerie della miniera, appaiono con particolare
leggibilità quando sono alle prese con la natura, la memoria, la
forma-vita dei luoghi.
L’area conclusiva espone
opere che si misurano con case, borghi, paesi sorpresi nelle loro
diverse “tonalità spirituali”, nelle diverse stagioni, nelle
diverse luci del giorno, nei diversi stati d’animo di chi dialoga
con loro (Ritratto
della madre alla finestra,
in mostra, n. 64). Appare così ancor più viva la continuità della
mostra con le attenzioni culturali, scientifiche e civili rivolte a
Osmače e Brežani, villaggi bosniaci del “ritorno alla terra”,
sull’altopiano sopra Srebrenica, dove ci ha portato quest’anno il
Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino. E appaiono ancor
meglio leggibili le ragioni e i sentimenti, con i quali Safet Zec e
tutti noi dedichiamo questa iniziativa alla figura di Alexander
Langer.»
[testo di Domenico
Luciani, tratto
dalla pubblicazione connessa alla mostra]
Titolo mostra: Safet Zec. La
pittura come miniera. Dipinti, incisioni, disegni 1970-2010
Inaugurazione pubblica: sabato
15 novembre 2014, ore 18.00
Durata: 16 novembre 2014 - 15
febbraio 2015
Orari: da martedì a venerdì
ore 15.00-20.00, sabato e domenica ore 10.00-20,00
Sede: spazi Bomben, via
Cornarotta 7, Treviso
Ingresso: intero 8 euro,
ridotto 5 euro; visite di gruppo per le scuole, ingresso 2 euro, su
prenotazione
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