lunedì 8 agosto 2011

Artemisia Gentileschi: una donna artista

di Sonia Gammone

Il Seicento vede fronteggiarsi aspramente due mentalità, da una parte le posizioni conservatrici della Chiesa, dall’altra le spinte progressiste intorno alla questione della conoscenza razionale. Considerato il secolo d’oro, il Seicento vede fiorire varie correnti artistiche: il Naturalismo di Caravaggio e seguaci, il Classicismo del Carracci e degli emiliani, l’esperienza barocca di Pietro da Cortona, di Bernini e Borromini, mentre si delinea in maniera autonoma la pittura di genere. Il desiderio crescente degli artisti di rappresentare realisticamente l’anatomia si scontra col forte tabù della nudità sacra. Sarà in questo clima pieno di fervore artistico e contraddizioni che si inserisce la vicenda artistica ed umana di Artemisia Lomi Gentileschi (1593-1653), figlia di Orazio Gentileschi (1563-1539), artista pisano dagli iniziali stilemi tardo manieristici, trapiantato a Roma dal 1585, per collaborare come aiuto nei lavori della Biblioteca Sistina in Vaticano, amico del Caravaggio. Per una donna del XVII secolo dedicarsi alla pittura era una scelta piuttosto difficile da attuare in un ambito, quello dell’arte, nel quale la presenza maschile era cosa universalmente riconosciuta. Artemisia non fu la sola, ma attorno alla sua figura si è accentuato nel tempo un interesse crescente legato forse anche alla sua vicenda personale che la vede suo malgrado protagonista di un processo per stupro. Tuttavia, studi recenti, concentrando la loro attenzione sulle grandi qualità artistiche e innovative della Gentileschi, mettono da parte quella visione che troppo a lungo la storiografia ha cercato di dare anteponendo il lato femminista delle sue opere ai veri intendimenti dell’artista. Nei suo dipinti le donne sono il soggetto prediletto, soprattutto le eroine bibliche ma anche i temi più prettamente sacri, ci rivelano la sue altissime qualità pittoriche. L’opera Susanna e i Vecchioni, riconosciuta quale sua prima opera autografa, già rivela tutta la lucidità di una grande preparazione a soli diciassette anni. L’episodio è quello narrato nel Libro di Daniele: la casta Susanna che viene sorpresa mentre fa il bagno da due anziani signori che frequentavano la casa del marito e che la sottopongono ad un ricatto. Una novità è già la presenza nella scena dei soli tre soggetti disposti a piramide, con Susanna che non fa nulla per nascondere il suo corpo nudo ma tende le mani come a voler allontanare da sé la molestia dei due. Sotto la guida paterna, pur rimanendo vicina al quel realismo caravaggesco espresso nel volume dei corpi e delle vesti, Artemisia guarda anche alle novità portate a Roma da Annibale Carracci. Dopo gli esordi romani, Artemisia si trasferisce a Firenze. Qui realizzerà la Conversione della Maddalena, tema largamente diffuso, rappresentando la santa con uno splendido abito di seta giallo, scollato così da mostrare appena una spalla e la piega del seno. In contrasto con l’abito sontuoso un piede nudo che spunta sotto gli ampi panneggi e le mani, una sul petto e l’altra protesa a schivare uno specchio che appena si intravede nell’ombra, simboli del proposito di rinuncia. Sulla cornice dello specchio le parole del Vangelo secondo Luca “OPTIMAN PARTEM ELEGIT”, “ha scelto la parte migliore”, ovvero la ricerca del Signore. E ancora su un lato dello schienale della sedia sulla quale è seduta la pittrice ha posto la sua firma. Altra opera del periodo fiorentino è Giuditta con la sua ancella in cui la Gentileschi recupera tutte le caratteristiche proprie della drammatica narrazione caravaggesca. Giuditta ed Abra, la sua ancella, sono raffigurate da vicino, immerse nell’ombra e illuminate da una luce che sembra di candela. L’istante raffigurato è quello in cui le due donne si apprestano a lasciare la tenda di Oloferne dopo averlo ucciso. Giuditta impugna ancora la spada mentre l’ancella sostiene, come fosse il bucato, la cesta nella quale è stata deposta la testa mozzata del tiranno. Questa è una delle sue opere migliori. La tensione del volto di Giuditta, la spada e i gioielli raffigurati con una cura minuziosa del dettaglio, rendono l’opera superba. L’ultimo parte della sua vita Artemisia lo passerà a Napoli riconosciuta ed apprezzata come artista. È in questo periodo che si colloca una parentesi londinese, dove Artemisia si reca su richiesta del re Carlo I e per raggiungere il padre. Qui dipinge una Allegoria della Pittura, considerato un autoritratto, eseguita secondo i canoni iconografici riconosciuti, ma altamente innovativa. Qui la Gentileschi conferisce a se stessa gli attributi della personificazione femminile della Pittura, una delle cinque arti liberali: la catena d’oro, la maschera pendente che rappresenta l’imitazione, i riccioli ribelli simbolo della frenesia della creazione artistica, e gli abiti di colore cangiante che alludono all’abilità del pittore. Questa Allegoria mostra la sua grande originalità nella disposizione del soggetto nel dipinto: la donna viene raffigurata di fianco, con il braccio destro ampiamente sollevato per raggiungere una invisibile tela su cui si concentra tutta la sua attenzione. Le donne da lei dipinte mostrano sentimenti, paure, angosce, attraverso gesti e pose, ora dinamici, ora sensuali, ora contemplativi, ed è il coinvolgimento che queste riescono a creare nello spettatore a rendere la pittura di Artemisia Gentileschi così emozionante.

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