di Annalisa Signore
A pochi chilometri dal centro urbano di Lavello, in provincia di Potenza, si trova un sito archeologico di straordinario valore. Un rudere e i resti superstiti di un consistente complesso antico situati su un’ansa coronata di ulivi nella contrada San Francesco. Questa zona strategica, tra i corsi d’acqua Olivento, Ofanto e il Monte Vulture, fu teatro di un susseguirsi di attestazioni dall’età del Bronzo medio (XVI secolo a.C.) all’età Imperiale romana e può risultare essenziale per comprendere la civiltà delle genti che si sono insediate nel territorio. La vicinanza delle vie Appia e Erculeia garantiva, invece, i collegamenti via terra.
A pochi chilometri dal centro urbano di Lavello, in provincia di Potenza, si trova un sito archeologico di straordinario valore. Un rudere e i resti superstiti di un consistente complesso antico situati su un’ansa coronata di ulivi nella contrada San Francesco. Questa zona strategica, tra i corsi d’acqua Olivento, Ofanto e il Monte Vulture, fu teatro di un susseguirsi di attestazioni dall’età del Bronzo medio (XVI secolo a.C.) all’età Imperiale romana e può risultare essenziale per comprendere la civiltà delle genti che si sono insediate nel territorio. La vicinanza delle vie Appia e Erculeia garantiva, invece, i collegamenti via terra.
La denominazione «Casa del Diavolo», da ricondurre all’epoca
medievale e alla suggestione popolare, è dovuta forse al rosso dei laterizi che
costituiscono la struttura e agli effetti dati dai raggi solari al tramonto che
attraversando le fessure presenti nell’edificio creavano l’illusione delle
fiamme e quindi di un luogo dal profilo empio ed inquietante. La costruzione è
databile intorno alla fine del III secolo d.C. ed è considerata la più
rilevante testimonianza archeologica romana del territorio lavellese. Probabilmente
si tratta di una villa patrizia di discrete dimensioni. A sostegno di ciò gli
studi dell’illustre archeologo Dino Adamesteanu secondo cui nel tardo periodo
romano sorgono nella zona anche le sontuose villae,
come a Malvaccaro nei pressi di Potenza, le grosse edificazioni agricole di S.
Giovanni di Cataldo nell’agro di Bella (PZ) o le altre, ancora, nelle frazione
di Gaudiano (Lavello) e nella contrada di Cervarezza a Banzi (PZ). La presenza
di una fattoria ben si inserisce in una zona di evidente connotazione agricola,
qual è l’agro lavellese. Inoltre, il ritrovamento di numerosi cocci e frammenti
di doli e olle con base a punta, impiegati come contenitori di derrate, sembra invalidare
eventuali riserve sulla presenza di una fattoria appartenente ad una famiglia
abbiente dedita all’agricoltura, attorno a cui si doveva presumibilmente
muovere una cospicua macchina produttiva e lavorativa.
Resta purtroppo ignota l’appartenenza della villa soprannominata «Casa del Diavolo», nonostante il ritrovamento di tre epigrafi nelle
vicinanze dell’area interessata. Nel Medioevo l’edificio viene reimpiegato come luogo di culto
cristiano e, secondo catasto, schedato come «CHIESA DIRUTA». In seguito
abbandonata, pur avendo subìto nel corso dei secoli l’azione invasiva dei
fattori climatici e l’incuria umana, per la sua posizione di relativo
isolamento si erge ad oggi come traccia consistente e di grande interesse.
Le evidenze archeologiche e i
resti delle strutture occupano un’area di circa 40 per 50 m, ma si può supporre
un’estensione totale maggiore. Gli edifici visibili presentano varie fasi
architettoniche e diverse tecniche edilizie, con muri in pietra e laterizi. La
parte principale è costituita da resti di un impianto termale di cui
s’individuano i vari ambienti. Un corridoio, costeggiando sul lato orientale un
corpo di fabbrica in laterizi quasi del tutto conservato, immette in un
ambiente mosaicato (probabilmente un apodyterium): da questo si può
accedere verso nord a due piccole vasche affiancate (frigidarium) e a
sud in un grande ambiente voltato in laterizi (calidarium). Nell’angolo
nord-ovest del complesso, si riconoscono le strutture di un “forno” per il
riscaldamento dell’acqua e della sala calda, con una cisterna annessa sul lato
ovest dell’edificio. Subito a est e nord-est delle terme si susseguono vari
ambienti (si nota anche la presenza di lacerti pavimentali in opus spicatum),
tra cui spiccano una latrina e alcuni vani probabilmente destinati ad uso
produttivo, data la presenza di alcuni dolia. Lo spargimento sul terreno
dei resti, del materiale da costruzione e della ceramica lascia supporre la
presenza di un notevole costruzione. La posizione sulla sommità di una collina
dominante tutta la piana del melfese e le caratteristiche
morfologico/topografiche della zona sembrano confermare l’importanza del complesso
archeologico e il fascino del sito in vista di un futuro recupero o ripresa
delle ricerche.
Nel giugno del 1998 sono stati avviati dei lavori di scavo
del complesso della villa. L’area archeologica visibile, non recintata, è
attualmente in fondo di proprietà del comune di Lavello.
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