di Carlo Maria Nardiello
Il piccolo centro di Tito (2600 abitanti nel 1799) nel dipartimento di Potenza partecipa attivamente agli episodi che danno vita al nuovo ordine civile e amministrativo, traghettato in Italia dal giovane Napoleone sin dal 1799. Abbattute le insegne borboniche, il 30 gennaio di quell’anno anche a Tito venne innalzato l’albero della libertà nella locale Piazza del Seggio, in un cornice di balli e festeggiamenti sulle note delle novità giunte d’Oltralpe. A rendersi protagonista in questa montana località di provincia fu Scipione Cafarelli, di antica famiglia borghese che nel settembre 1772 aveva sposato per procura la diciottenne Francesca De Carolis, esponente di una delle più ricche famiglie di San Marco in Lamis, oggi provincia di Foggia. Nominato Presidente della Municipalità democratica e popolare istituita nel paese il 2 febbraio, Scipione Cafarelli, insieme col figlio Giuseppe, il 21 febbraio evitò ai corpi armati di assaltare il municipio. I sanfedisti fecero pagare cara all’intera famiglia Cafarelli la partecipazione alla Repubblica: Scipione, il figlio primogenito Giuseppe vennero trucidati, poi i figli Giambattista, Benedetto, Antonio, Isabella ed Emanuela, risparmiati, i primi perché minorenni, le ultime due perché rinchiuse nel monastero di S. Fele. Ma per Francesca De Carolis non vi fu via di alternativa al martirio: “finiva torturata acciò avesse rinnegata la sua fede, od almeno avesse smentita se stessa col gridare: Viva il Re, ma più ancora era tormentata, e più disprezzava il martirio che le era preparato, per cui vedendo la sua irrevocabile costanza, fu sentenziata alla fucilazione. Condotta nella piazza […] continuava a gridare –Viva la Repubblica –, e proferendo queste parole, che fur le ultime, veniva fucilata con ammirazione universale. (…) Eseguita la fucilazione l’esposero con una pietra per capezzale al ludibrio di tutti”.
Si spense l’esistenza valorosa di una donna, a memoria futura del suo estremo sacrificio in difesa degli eterni valori della libertà.
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