La genesi della raffigurazione artistica intesa come ‘proiezione del mondo a noi circostante’, risulta appartenere ad una tesi chiaramente espressa in epoche e circostanze remote. All’incirca cinque secoli fa la teoria compare per la prima volta in un breve trattato di Leon Battista Alberti, dove il maestro organizza con impressione conoscitiva la propria ricerca dedicata alla scultura, il “De statua”. Qui si afferma che “le arti avessero origine in coloro che esprimono e ritraggono le opere con le effigie e le somiglianze dei corpi creati dalla Natura”. Si specifica tecnicamente, inoltre, che “Essi scorgessero in tronconi, nella terra, o in molti altri corpi alcuni elementi mediante i quali trasmutando in loro qualche similitudine, essi gli potessero rendere simili ai volti plasmati dalla Natura”.
Lo scritto espone in via di continuità teorica la specifica attenzione dell’artista e sulle sue doti applicative riguardo il proprio meccanismo di acquisizione, elaborazione e proiezione dei dati reali: “Cominciarono dunque a considerare con la mente, e ad esaminare ponendovi ogni diligenza, e a tentare e a forzarsi di vedere quel che eglino vi potessero aggiungere, o levare, o quel che vi si aspettasse, per far si e in tal modo che ei no paressi che vi mancasse cosa alcuna, da far apparire quasi vera e propria quella tal effigie, e finirla perfettamente. [...] …emanando ora le linee, e ora la superficie, e nettandole e ripulendole, ottennero il desiderio loro; e questo veramente non senza loro diletto”.
Secondo Ernst H. Gombrich, in uno scritto pubblicato nel 2002 avente come materia di studio la psicologia della rappresentazione pittorica, gli studi sulle radici dell’arte in passato hanno azzardato fin troppo piccole e vaghe verità impresse poi nei secoli. Questo pone tutt’oggi i versi della temeraria teoria albertiana sotto serie considerazioni.
In ogni caso la teoria dell’Alberti si colloca come un solido e valido punto di partenza tale da comprendere una ‘genesi dell’arte’. Secondo Gombrich potrebbe esistere infatti un settore su cui fondare l’acquisizione di immagini accidentali che la mente dell’uomo primitivo ha rielaborato in chiave artistica: le raffigurazioni che l’uomo scorge nel cielo stellato. Non è difficile immaginare le prime emozioni dell’uomo quando segnando un percorso visivo di punti luminosi nel celo buio, abbia formulato sulla pietra copie di elementi reali. Così cogliere la figura di un animale nell’insieme di stelle celesti, divenne fondamentale per attribuire quello specifico oggetto come signore dello spazio che occupava. La teoria sembrerebbe alquanto esaustiva se si pensa a come tutt’oggi risulti avvincente l’attrazione che queste immagini celesti riversano nella fantasia dell’uomo occidentale, tanto da riprendere con minore riluttanza il suggerimento dell’Alberti. Basti pensare all’assegnazione dei segni dello Zodiaco sulle costellazioni diversi millenni fa.
Da questo punto di partenza, appare maggiormente ricco di fascino per un lettore il concetto di provenienza dell’ispirazione artistica dall’alto del firmamento, ponendo la nascita dell’arte in una parentesi cosmica che tutt’oggi meriterebbe un ulteriore approfondimento da ricercare nei meandri del tempo arcaico.
Lo scritto espone in via di continuità teorica la specifica attenzione dell’artista e sulle sue doti applicative riguardo il proprio meccanismo di acquisizione, elaborazione e proiezione dei dati reali: “Cominciarono dunque a considerare con la mente, e ad esaminare ponendovi ogni diligenza, e a tentare e a forzarsi di vedere quel che eglino vi potessero aggiungere, o levare, o quel che vi si aspettasse, per far si e in tal modo che ei no paressi che vi mancasse cosa alcuna, da far apparire quasi vera e propria quella tal effigie, e finirla perfettamente. [...] …emanando ora le linee, e ora la superficie, e nettandole e ripulendole, ottennero il desiderio loro; e questo veramente non senza loro diletto”.
Secondo Ernst H. Gombrich, in uno scritto pubblicato nel 2002 avente come materia di studio la psicologia della rappresentazione pittorica, gli studi sulle radici dell’arte in passato hanno azzardato fin troppo piccole e vaghe verità impresse poi nei secoli. Questo pone tutt’oggi i versi della temeraria teoria albertiana sotto serie considerazioni.
In ogni caso la teoria dell’Alberti si colloca come un solido e valido punto di partenza tale da comprendere una ‘genesi dell’arte’. Secondo Gombrich potrebbe esistere infatti un settore su cui fondare l’acquisizione di immagini accidentali che la mente dell’uomo primitivo ha rielaborato in chiave artistica: le raffigurazioni che l’uomo scorge nel cielo stellato. Non è difficile immaginare le prime emozioni dell’uomo quando segnando un percorso visivo di punti luminosi nel celo buio, abbia formulato sulla pietra copie di elementi reali. Così cogliere la figura di un animale nell’insieme di stelle celesti, divenne fondamentale per attribuire quello specifico oggetto come signore dello spazio che occupava. La teoria sembrerebbe alquanto esaustiva se si pensa a come tutt’oggi risulti avvincente l’attrazione che queste immagini celesti riversano nella fantasia dell’uomo occidentale, tanto da riprendere con minore riluttanza il suggerimento dell’Alberti. Basti pensare all’assegnazione dei segni dello Zodiaco sulle costellazioni diversi millenni fa.
Da questo punto di partenza, appare maggiormente ricco di fascino per un lettore il concetto di provenienza dell’ispirazione artistica dall’alto del firmamento, ponendo la nascita dell’arte in una parentesi cosmica che tutt’oggi meriterebbe un ulteriore approfondimento da ricercare nei meandri del tempo arcaico.
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