giovedì 17 marzo 2011

La Plebs di Santa Maria di Rota

di Gianmatteo Funicelli

Nel quadro delle svariate indagini archeologiche altomedievali nel salernitano, cospicue risultano le tracce di insediamenti o quantomeno fortuite “presenze” in grado di valutare e proporre modeste conclusioni su di una storiografia medievista di popoli ed un’archeologia fatta di antiche pietre che discutono, a corredo di varie fonti, sull’alternanza di civiltà protagoniste di cambiamenti, nonché delle nostre amate radici. È il caso dell’area a Nord di Salerno, a diciassette chilometri da quest’ultima che il “fortunato” saggio di scavo degli anni 1985-86 condotto nell’area della chiesa plebana di Santa Maria sita nell’antica Rota (oggi Mercato San Severino), uno dei rarissimi esempi di gastaldati longobardi ancora recuperabili in Campania, ha messo alla luce ingenti materiali e reperti ceramici atti a delineare una prima conoscenza del sito.
Le documentazioni a noi più distanti su luogo ci riportano al VII sec. d.C., ossia al 633 quando l’antica Rota era strettamente connessa alle dipendenze amministrative napoletane. La sua successiva fase si rifà poi all’incursione longobarda, dove gli assetati Principi beneventani occuparono il centro, nonostante le continue rivolte degli autoctoni. Questa rinomata convergenza nei confronti di Rota è dovuta alla sua posizione geografica coincidente coi noti percorsi viari della Capua-Regium e della consolare Annia-Popilia, dove l’area fu testimone di numerose entità. Il villaggio divenne gastaldato di Salerno nel IX sec., come ci attestano le attendibilità di fonti scritte (actus rotense). La sua importanza insediativa è considerevole se si pensa che esso fungeva da collegamento tra le due pianure in cui veniva a trovarsi, quella vesuviana e quella pestana. Un saldo centro di controllo, quindi, che coadiuvato dall’alto incastellamento di Lanzara raggiungeva un imponente carica amministrativa, protratta in epoche successive con gli Aragonesi e con l’efficiente linea politica della San Severino moderna. In contrasto alle documentazioni del gastaldato, i dati archeologici, tuttavia, rimandano indietro di tre secoli la frequentazione del sito, in particolare alle presenze connesse col sacrario citato (seconda metà VI sec. d.C.).
La tematica di chi scrive in quest’esame, è proprio quella di riportare l’attenzione, seppure del tutto riassuntiva, sullo specifico contesto sacro alla luce dei risultati archeologici. La chiesa di Santa Maria di Rota è uno dei più rari esempi che ben traduce la cristianizzazione in Campania dal Tardoantico all’Altomedievo (dopo il Battistero di S. Maria Maggiore di Nocera). La “Plebs”, attribuzione sacra che compare nell’area tra il IX e l’XI sec., è la formazione di una specifica adesione religiosa di vari contesti a cui aderiscono i popoli delle città e successivamente quelli delle campagne per adempiere alle dovute attività cultuali e devozionali, che vano dalla cura animarum alla venerazione di un santo particolarmente caro al luogo di deposizione. In termini di “cristianizzazione” di aree rurali, questo fenomeno lento e progressivo si diffonde dalla prima affermazione del Cristianesimo sino al V-VI sec., come accade appunto per la Chiesa di Santa Maria, ad un certo punto non più descritta dalle fonti come ecclesia baptismalis ma come plebs. In termini amministrativi, infine, la “Plebs Sancta Mariae” doveva essere un distretto ecclesiastico dipendente dalla ecclesia episcopalis urbana, ma dotata di un clero operante, dove la suddetta cura delle anime comprendeva i seguenti compiti sacerdotali: la celebrazione delle funzioni religiose, l’impartire il battesimo e l’operare nelle pratiche funerarie; tradotta in termini architettonici, la plebs doveva essere fornita di un’aula di culto, di una fonte battesimale e di uno spazio cimiteriale per la tumulazione dei defunti.
Il tempio sacro, largamente documentato (Codex Diplomaticus Cavensis) tra atti di vendita e donazioni, sorse tra VI e VIII sec. e presenta un’icnografia a navata unica terminante in un abside semicircolare orientata con una misurazione di 24 mt. di lunghezza e di 8 mt. di ampiezza. La struttura nel corso dei secoli ha subito numerosi rifacimenti e accorpamenti di destinazione probabilmente agricola e/o abitativa. La sua muratura esterna in opus quadratum ne accerta un’antica edificazione. La prima campagna di scavo degli anni 1985-86, assieme agli altri saggi esplorativi che hanno promosso il laboratorio di Archeologia medievale “N. Cilento” nell’Università degli Studi di Salerno con la cooperazione della Ricerca scientifica coordinata dagli studiosi del DILAM (Dipartimento di Latinità e medioevo) assieme ad altri enti, tutt’oggi hanno prodotto numerosi risultati che pongono ad osservare il sito da nuovi punti di vista.
Oggi il complesso riversa in un forte stato di degrado, dove si avverte non poco anche l’imminente scomparsa degli ultimi lacerti di affresco ancora presenti in situ sui registri murari interni. Testimonianze sicuramente valide sul territorio altomedievale che però tutt’oggi risulta parzialmente protetta da una lamiera in acciaio e completamente priva di adeguate coperture. È auspicabile che in un futuro prossimo, al di là delle continue e differenti difficoltà di accesso e di approccio sul sito, il progressivo riemergere dell’insediamento sia una nuova pagina indispensabile per la nostra archeologia, ma soprattutto per la nostra civiltà.

2 commenti :

maddalena ha detto...

Dovrei condurre un rilievo materico sella Chiesa, potreste indicarmi qualche fonte bibliografica?

Gianmatteo ha detto...

Uno dei primi testi di riferimento, fu pubblicato nel 2001, a ridosso di un incontro di studi archeologici tenutosi dai ricercatori dell'Università degli Studi di Salerno presso Mercato San Severino: AA. VV., "Mercato San Severino e la sua storia. Dall'antica Rota alle trasformazioni moderne", Salerno, 2001.

Per maggiori delucidazioni bibliografiche e materiali di studio, la invito a contattare gli studiosi di riferimento, afferenti al DILAM, Dipartimento di Latinità e Medioevo dello stesso Ateneo (http://www.dilam.unisa.it/), ossia il Prof. Paolo Peduto, la Dott.ssa Rosa Fiorillo e la Dott.ssa Chiara Lambert.

Buon lavoro!
Gianmatteo Funicelli
(Free Lance International Press - Roma)