Da sempre Daniela Grifoni si dedica all’arte, dottoressa honoris causa, accademico della Italia-English Accademy di Londra. Lascia subito il segno in alcuni fra i più importanti musei del mondo come il M.O.A., il museo Casanova, il museo Maui e in numerose collezioni private. Daniela Grifoni è stata recensita da illustri critici dell’arte quali Paolo Levi, Vittorio Sgarbi, Bruno Rosada, Serena Baccaglini, Alfredo Pasolino, Alberto Gerosa, Paolo Manazza, Raul Capra, Bonini Lorenzo, commissione critica della Royal Accademia di Londra. L'artista s'impegna nell'ambito della pittura, della scultura plastica, di scenografie d’impatto per opere teatrali, traendo così dall’arte la sua linfa vitale.
Allontanatasi del tutto dalla sperimentazione Espressionista di ambito informale, Daniela Grifoni, in modo motivato, ha trovato un suo suggestivo approdo linguistico mirabile sia all’occhio che al tatto. Del percorso dei decenni trascorsi, l'artista ha saputo conservare le vibrazioni cromatiche, valori aggiunti disponibili all’immediata percezione visiva dell’osservatore. La sua innata creatività la guida oggi in una stagione di impegno civile, sul tema portante della lotta contro la violenza sulle donne. Perfettamente coerente il linguaggio plastico visionario e del tutto inedito, che dà corpo alla sua battaglia. Questi costrutti sapienti fra pittura e scultura aprono scenari inquietanti, comunque calibrati dal garbo esecutivo dell’autrice. A differenza delle opere del suo passato nulla ha più da spartire con l’automatismo psichico degli anni ’80 –’90, quando Grifoni, indirettamente, pensava a Robert Rauschenberg, e alle sue colate guidate di colore. Oggi l’artista è nella sua piena maturità. Le sue nuove rivelazioni arcane, esplicite e insieme allusive nel contenuto e nell’impegno, sono sostenute dalla perfetta calibratura e dall’armonia esecutiva che, in verità, è madre e padrona di tutti questi corpi sinuosi. Nel ruolo predominante, in un gioco superbo tra le parti, la donna non si rivela tanto nella talentuosa bellezza dei colori, ma nelle forme informi che si materializzano in carne viva, sfidando il vuoto e il silenzio, da cui deriva il titolo della mostra, Paolo Levi.
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