Nell’arco del primo Cristianesimo sino alla completa diffusione dei linguaggi formali altomedievali, lo splendore musivo ricorre come un elemento peculiare sulla narrazione parietale degli edifici di culto. Attraverso le più varie misurazioni il mosaico vive di espedienti e simbologie, integrato e fuso all’architettura del luogo preposto, a costituire un’unità artistica tra lo spazio sacro e il valore materiale delle pietre a riguardo. Da vicino e quindi focalizzate, si coglierà nel mosaico un unico blocco di minuscoli elementi, che nell’insieme formano però un’ astratta condizione reale; una fantastica trascendenza, però materializzata a contatto col mondo terreno... I materiali in questione si presentano di vario genere: tessere composte di marmo, madreperla, cubetti di vetro smaltati o dorati, che nel loro accorpamento offrono allo spazio sacro uno scenario descrittivo carico di splendore e preziosismo.
L’iconografia cristiana, con l’accorgimento musivo, non dedica all’arte un particolare valore formale dotato di accorgimenti proporzionali, ma semplicemente evidenzia ed esprime attraverso forme appiattite e bidimensionali il sacro messaggio metafisico non senza rapporti ritmici di chiarore cromatico. Con questa soluzione rappresentativa, l’arte si avvicina all’osservatore nella comprensione delle Sacre Scritture e verso la coscienza storica dei fatti attraverso un’affascinante presa psicologica e di sensazioni a carattere emozionale verso la scena eternata.
Questa continua ricerca emotiva volge oltre quando dal passaggio dei “gusti” sui monumenti più antichi privi di fondo coloristico (III-IV sec. d.C.) , si passa ad una maggiore profusione aurea e più alti valori chiaroscurali, che determinano i soggetti figurativi in un’accennata tridimensionalità ma tuttavia sempre stilizzata nei rigidi e piatti spazi compositivi (VI sec. d.C.). In questi ambiti l’elemento preponderante è la luce, il punto focale del valore mistico ed ultraterreno sulla categoria musiva, che fonda queste primitive ricerche nell’estetica bizantina. Qui la lettura musiva sui temi cristiani si intende come “primo incontro tra il fedele e lo spazio celeste”. Dalle fonti apostoliche si può trarre, difatti, la teoria della vita verso la luce eterna: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giov. 8, 12).
L’iconografia cristiana, con l’accorgimento musivo, non dedica all’arte un particolare valore formale dotato di accorgimenti proporzionali, ma semplicemente evidenzia ed esprime attraverso forme appiattite e bidimensionali il sacro messaggio metafisico non senza rapporti ritmici di chiarore cromatico. Con questa soluzione rappresentativa, l’arte si avvicina all’osservatore nella comprensione delle Sacre Scritture e verso la coscienza storica dei fatti attraverso un’affascinante presa psicologica e di sensazioni a carattere emozionale verso la scena eternata.
Questa continua ricerca emotiva volge oltre quando dal passaggio dei “gusti” sui monumenti più antichi privi di fondo coloristico (III-IV sec. d.C.) , si passa ad una maggiore profusione aurea e più alti valori chiaroscurali, che determinano i soggetti figurativi in un’accennata tridimensionalità ma tuttavia sempre stilizzata nei rigidi e piatti spazi compositivi (VI sec. d.C.). In questi ambiti l’elemento preponderante è la luce, il punto focale del valore mistico ed ultraterreno sulla categoria musiva, che fonda queste primitive ricerche nell’estetica bizantina. Qui la lettura musiva sui temi cristiani si intende come “primo incontro tra il fedele e lo spazio celeste”. Dalle fonti apostoliche si può trarre, difatti, la teoria della vita verso la luce eterna: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giov. 8, 12).
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