mercoledì 4 dicembre 2013

Inedito galloitalico: il fascino dell'antico patrimonio linguistico lucano

di Giovanna Russillo

Nel linguaggio si riflette la cultura e l’identità di un popolo, un patrimonio da custodire e tramandare. Da questo punto di vista la Basilicata può essere considerata una miniera di antiche tradizioni, una terra nella quale convergono molte identità linguistiche europee. Tra queste è compreso il galloitalico, parlato in un’area molto ampia della regione, perlopiù tra i comuni di Picerno, Tito, Perolla (Savoia di L.), Pignola, Potenza, Vaglio, Trivigno, Pietragalla Trecchina, Nemoli, S. Costantino di Rivello, Tintiera (Abriola), Avigliano e, con tracce minime, Grumento Nova. Sono invece andate completamente perdute le tracce di Ruoti e Cancellara. Al galloitalico e all’importanza dei dialetti come patrimonio culturale è dedicato un accurato lavoro di ricerca dal titolo “Inedito galloitalico”. Ne è autore il lucano Tonino Cuccaro che da anni, al fianco della dialettologa Maria Teresa Greco, è impegnato in numerose iniziative culturali volte a far riscoprire le diversità linguistiche galloitaliche in Basilicata.
Il volume costituisce un ulteriore tassello nel processo di scrupolosa ricostruzione della storia degli idiomi locali, la cui conoscenza non va circoscritta ai meri ambienti accademici, ma necessita di una più ampia divulgazione, in quanto la lingua permette ad una comunità di riconoscersi e di ritrovare le proprie radici. Il dialetto galloitalico parlato in Basilicata si distingue notevolmente da altri dialetti lucani e meridionali e presenta numerose analogie con il parlato di alcune zone d’Italia come la Sicilia e quell’area piemontese compresa tra Novara e Alessandria. Il primo ad operare confronti e a porre l’accento sull’origine linguistica di queste popolazioni fu il dialettologo tedesco Gerhard Rohlfs che, giunto in Basilicata nel 1925, rimase colpito dalla forza del dialetto di alcune zone del potentino. Da qui ebbero origine diverse ricerche anche ad opera di altri studiosi per risalire alle radici storiche del fenomeno. Sono diverse le ipotesi da questi formulate, che vorrebbero il galloitalico lucano nato dalle deportazioni dei prigionieri lombardi in Basilicata oppure dalla crisi angioina del XIII secolo.
Nel tempo i dialetti lucani hanno resistito più che altrove alle contaminazioni linguistiche a causa dell’isolamento e alla carenza di vie di comunicazione. Oggi, con la fine dell’isolamento geografico, è più che mai importante tutelare il patrimonio linguistico e la storia che ad esso si lega. “Inedito Galloitalico”, la cui pubblicazione è stata finanziata dall’APT di Basilicata e dal Comune di Tito, riporta non solo interessanti ipotesi di studiosi, riferimenti storici e bibliografici e un attento confronto tra i dialetti di alcuni centri lucani – Potenza, Tito, Pignola, Picerno – ma anche una gustosa panoramica sul lessico quotidiano. Questa affascinante escursione nel galloitalico lucano si conclude con una copiosa serie di proverbi e modi di dire tratti da dialoghi in dialetto titese. Si tratta soprattutto di conversazioni tra donne di umile estrazione, che raccontano un mondo arcaico e contadino nel quale poche semplici parole spesso celavano significati metaforici e allegorici e una immensa saggezza. Dal 2005 al progetto di ampio respiro legato al dialetto galloitalico è dedicato anche un sito, www.galloitalico.org, che raccoglie importanti contributi documentaristici e fotografici.

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