martedì 2 dicembre 2014

Il teatro d'arte dannunziano: La Città Morta

di Carlo Maria Nardiello

Eleonora Duse in una scena della Città Morta
D’Annunzio, esperto novelliere, egregio romanziere, navigato poeta, decide di dedicarsi al teatro con l’animo di chi si appresta a concepire un grandioso percorso verso la modernità. Scardinando le monotone trame, avvertite come insopportabili, in cui il teatro a lui contemporaneo era prigioniero, apporta in pochi decenni novità che difficilmente avrebbero trovato terreno fertile in sua assenza. Dopo aver esaltato la massa a cui il suo teatro si rivolgeva, dopo aver aperto lo spazio chiuso del teatro – il plein air di Albano laziale –, d’Annunzio sembra concentrare la sua fertile inventio teatrale sul tema dell’oggetto.
L’analisi di tre tragedie (La città morta, La Gioconda, La fiaccola sotto il moggio, rivela un’imponente galleria di oggetti dall’indiscutibile carico estetico che suggerisce la centralità del tema nelle intenzioni di Gabriele d’Annunzio. Il suo teatro, pur così multiforme nella sua costante e infaticabile sperimentazione, presenta tutta una gamma di presenze oggettuali che legittimano la qualificazione di drammaturgia dell’oggetto che si fa soggetto.
D’Annunzio, che nella poesia è stato così abile a dialogare con la natura e nella prosa a penetrare la psiche dei suoi eroi, nel teatro si apre ad una comunicazione con gli oggetti. Pur senza preferirne taluni ad altri, il risultato della sua ardita innovazione conduce ad un’inaspettata rivelazione: quella dell’inanimato.
Il drammaturgo, novello eppure già cosciente del campo teatrale, mette in scena la democratizzazione dell’oggetto: non solo mera presenza di contorno, o peggio di riempimento, della scena ma autentica amplificazione della stessa, grazie all’importanza paritaria o addirittura maggiore di questo rispetto ai protagonisti delle vicende. 
I reperti archeologici della Città morta, con l’oro e le rinate spoglia ‹‹di sotterra›› non sono trattati come riproduzioni dal vero di una circostanza drammatica, bensì di rivelatori, a loro volta, di profondi e inaccessibili segreti ben custoditi dai personaggi che si muovono sulla scena: il morboso sentimento di attrazione di Leonardo verso la pura Bianca Maria si mostra in tutta la sua atrocità nella stanza inondata dall’oro. E ancora: il richiamo avvertito verso le misteriose oscurità celate dalla terra dall’archeologo è allegorico rivelatore del suo dramma interiore, che non può avere altra fine di quella tragica.

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