martedì 30 marzo 2010

Da Corot a Monet. La sinfonia della natura

Comunicato stampa

Dal 6 marzo al 29 giugno 2010 il Complesso del Vittoriano di Roma presenta una prestigiosa esposizione che per la prima volta mette in relazione le straordinarie innovazioni, attraverso cui gli Impressionisti rivoluzionarono la pittura tradizionale, con una comprensione più ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca, queste ultime mai esposte prima in Italia, ripercorrono l’evoluzione della rappresentazione della natura nella pittura francese dell’Ottocento, partendo dalle prime innovazioni ai canoni classici apportate dai pittori della Scuola di Barbizon, esplorando a fondo la rivoluzione degli Impressionisti, per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet.
L’Impressionismo è certamente un periodo storico artistico al quale sono state dedicate innumerevoli esposizioni, studi e pubblicazioni, ma questa mostra al Complesso del Vittoriano, propone per la prima volta un’analisi davvero approfondita e complessiva del rapporto tra Impressionismo e Natura e di come gli Impressionisti, con il loro linguaggio artistico innovativo, non solo abbiano reso testimonianza visiva dell’impatto della modernità sul paesaggio francese, in una coesistenza di passato e presente, ma abbiano abbracciato una nuova prospettiva olistica, che rivela il dinamismo e la contingenza di ogni sistema sociale e naturale.
La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l’imponente Vista dell’isola di Capri di Harpignies, dall’altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione.
La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré e Daubigny, che, a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein air, con un’attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera, pur mantenendo un notevole rispetto per la tradizione artistica, raffigurando scene rurali solitarie, oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale.
La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell’epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. Come scrive Stephen Eisenman nel suo saggio: “Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all’imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: ‘Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno’ Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come ‘l’unico ricordo ancora vivo dell’epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone’ e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest’ultimo fece nel 1861. Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. (...) I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, - qui esposte - erano dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un’era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.”
“Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell’Ottocento lo seguirono a Auvers“ – spiega Eisenman - amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull’esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau, 1872, New York Public Library, presenti in mostra), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l’unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l’ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici. “
Una rappresentazione della Natura come forza vitale, nella sua perpetua attività generatrice, priva di figure umane, è quella presentata da artisti come Courbet, Boudin e Cazin.
Nelle opere degli Impressionisti appare, quindi, evidente questa nuova volontà di rappresentare una realtà che è frutto dell’equilibrio e della commistione indissolubile tra tutte le parti del mondo naturale. Prendendo spunto dagli sviluppi della scienza a loro contemporanea, come testimoniano in mostra alcune copie della rivista scientifica La Nature di Gustave Tissandier e pubblicazioni del geologo radicale Elisée Reclus, i pittori impressionisti rappresentarono “l’economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate.
Quella impressionista è una sfida al pittoresco convenzionale, sia nel virtuosismo della tecnica essenziale, sia in quello della composizione. Come spiega John House nel suo saggio in catalogo: “Le opere eseguite da Pissarro e Monet tra gli anni settanta e ottanta dell’Ottocento chiariscono ulteriormente questi temi. Negli anni settanta Pissarro realizzò una sequenza di vedute delle rive dell’Oise in cui le fabbriche giocano un ruolo prominente (vedi per es. in mostra La sente du Chou, Douai, Musée de la Chartreuse). Questa intrusione della contemporaneità equivaleva a un rifiuto delle immagini convenzionali del fiume rese popolari dai dipinti di Charles-François Daubigny, in cui le sponde verdi e nebbiose sono presentate come un rifugio incontaminato (per es. esposto Mattino sull’Oise, Oshkosh, Paine Art Center and Gardens). A un primo sguardo le fabbriche di Pissarro sembrano accomunabili alla parodistica mietitura di Renoir, ma tra le due c’è una differenza sostanziale: mentre in Renoir contava soprattutto la decisione di declinare il tema della mietitura in chiave antipittoresca, in Pissarro la rottura è provocata da un’intrusione fisica nel paesaggio stesso, quella della fabbrica sulla riva del fiume. (...) Considerato nel suo insieme, questo progetto suggerisce che la presenza della modernità può assumere molte forme e che una pittura realmente moderna dovrebbe riunire quegli elementi contrastanti che le rappresentazioni di paesaggi tradizionali avevano escluso.”
Anche Monet, nelle vedute di Argenteuil realizzate in questo stesso periodo, esplora un’ampia gamma di tonalità e atmosfere. A volte il luogo è raffigurato come un villaggio rurale, ma più spesso sono i segni della modernità a imporsi, pur nella loro estrema diversità: fabbriche e ponti ferroviari, ma anche ville suburbane, chalet sulle rive del fiume e imbarcazioni in movimento, con una continua variazione tonale delle opere, che esplorano tutte le più disparate variazioni atmosferiche in una gamma di effetti visivi davvero straordinaria.
L’uomo entra nel paesaggio, come nel capolavoro di Frédéric Bazille dal Musée Fabre di Montpellier, nel quale la donna in primo piano si immerge completamente nella natura, invitando il nostro sguardo a sprofondare nel panorama della valle verdeggiante vicino al villaggio di Castelnau.
Come spiega Eisenman, Alfred Sisley, invece, dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia: “I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio – tra le opere esposte - L’inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L’inondazione a Moret (1879, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1882, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell’azione e degli abusi dell’uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all’agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 furono ampiamente attribuite alla deforestazione. Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall’agire dell’uomo.”
L’avvento della Terza Repubblica nel 1879 cambiò nettamente la politica artistica dello stato francese, che, se in passato aveva favorito le forme più tradizionali del paesaggio rurale, incoraggiava ora attivamente la raffigurazione delle scene contemporanee. Fu forse anche questo che contribuì al trasferimento di Monet a Vétheuil e ad un atteggiamento nuovo: abbandono dei soggetti esplicitamente moderni, riduzione al minima della presenza umana.
La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò, poi, nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle. Spiega Eisenman “Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l’acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l’acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d’oro di Barbizon – “l’agente intermedio di tutta la vita organica”. Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.”
La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista. “Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un’estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall’originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente.”
L’artista non raffigura più la natura come momento insieme immediato ed eterno, non è più interessato a fissare sulla tela il fondersi di passato e presente, antico e modernità, ma crea, piuttosto, un luogo dell’anima, un ideale rifugio dalla contingenza della vita quotidiana.
Conclude Eisenman: “Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L’artista aveva quindi abbandonato l’ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull’interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze scoraggianti della modernizzazione, ma anche un terribile ritiro in un’isola privata di sogni e ansietà.”

Titolo mostra: Da Corot a Monet. La sinfonia della natura
Sede: Complesso del Vittoriano, Roma
Indirizzo: Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali)
Date: 5 marzo - 29 giugno 2010
Orari: dal lunedi' al giovedi' 9.30-19.30; venerdi' e sabato 9.30-23.30: domenica 9.30-20.30
Costo biglietto: 10.00 euro intero - euro 7.50 ridotto

Immagine: Claude Monet, Ninfee, armonia in blu, ca. 1914, olio su tela, cm. 200x200, Parigi, Musée Marmottan Monet ©Musée Marmottan, Paris / Giraudon / The Bridgeman Art Library

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