sabato 31 ottobre 2009

La Certosa di San Lorenzo

di Eleonora D'Auria

Al crepuscolo sentivo di divenire inanimato ed eterno… giunto al silenzio, e liberato nel mio profilo come le montagne.” (Alfonso Gatto)

Narra la Certosa e sussurra verso sera il suono incantato del silenzio. 1306, data di fondazione. Sette secoli di storia vivono serrati dietro l’ampia facciata, plasmati armoniosamente e avvolti in un clima di sublime contemplazione. Aperto di giorno, il grande portale di accesso si serrava di notte, e tutto veniva avvolto e tutelato dagli armigeri chiusi nella poderosa torre. La facciata della Certosa di San Lorenzo, chiude oggi come allora, lo spazio della corte esterna, costituendo un’ insormontabile barriera per gli estranei. Valicarla è concesso a pochi, e l’intrusione necessita silenzio e contemplazione. Vari gli spazi che si articolano oltre essa, in una successione ispirata ad una rigorosa divisione tra casa alta e casa bassa. Le precise regole dettate da Guido I per l’ospitalità ad estranei, dovuta ad episcopis et abbatibus et cunctis in religioso habitu, imponeva una esatta scansione dei giorni prescelti per i pranzi in comune. Ospiti religiosi dunque, ai quali era consentito dormire nella “casa alta”. Gli ambienti della foresteria nobile erano dunque destinati agli ospiti di riguardo, occupando, come sopra detto, il piano superiore del primo chiostro. Di impianto tardo manierista, il chiostro ha un portico al piano terra e un loggiato al piano superiore sul quale si erge la torre rettangolare dell’ orologio, che accompagna oggi come allora i battiti dell’uomo. L’ingresso sul chiostro era usato di rado dai monaci che raggiungevano la chiesa dalla clausura attraverso spazi interni. Nell’ angolo del chiostro una scalinata introduce al piano superiore, un finto porticato, che lascia vedere scene di vita agreste, corsi d’acqua. Un rapporto paesaggio-figure, riproposto in egual misura nella pittura della Loggia del Priore, e che ritroviamo con i medesimi accenti esasperati nei pittori paesaggisti napoletani della prima metà del XVII. Una innegabile continuità stilistica lega difatti la Certosa napoletana e quella di Padula, rendendo certa l’ ipotesi di una stretta collaborazione tra le maestranze locali e quelle partenopee. Silenzio introduce al chiostro del cimitero, che perse la sua funzione allorquando in un angolo del chiostro grande ne venne sistemato uno nuovo. Il cimitero nelle certose occupava un’area limitata, essendo consuetudine seppellire i defunti senza bara, rendendo cosi più rapido il processo di decomposizione, e favorendo dunque il ripetersi dell’ interramento nel medesimo posto dopo una decisa di anni. Una semplice croce di legno veniva posta sulla tomba del certosino, croce che attualmente, collocata al centro del chiostro ha valore simbolico nel ricordare la sua antica funzione. Il giardino centrale, separato dai bracci del portico da un ritmo alternato di ampi archi e più stretti passaggi architravati, incanta con aiole e piante ornamentali. L’antico chiostro era ubicato in un luogo piuttosto appartato della Certosa, fuori dall’asse principale rappresentato dal percorso rettilineo che dal cortile esterno conduceva oltre, verso la foresteria e il chiostro dei procuratori, alle celle più isolate della clausura. Figura, quella del procuratore estremamente importante nell’ economia della struttura. A lui il compito di amministrarne l’intero patrimonio, sovrintendendo al buon andamento della casa, consentendo cosi ai Padri di dedicarsi interamente alla vita contemplativa, mantenendo al contempo rapporti con l mondo esterno. Un carattere, quello di cerniera tra il mondo laico e quello contemplativo che traspare anche dalla struttura architettonica della Certosa di San Lorenzo. Al chiostro dei procuratori si accede dal lato sinistro del corridoio d’ingresso, dunque ancora al di qua della clausura vera e propria. Dal piano superiore si raggiunge anche la biblioteca e l’appartamento del Priore. Generalmente la presenza dei procuratori era alquanto numerosa e necessitava di alloggi adeguati, cosi intorno al chiostro, che si compone di un portico al pian terreno e di una galleria finestrata al piano superiore, gravitavano i quartieri dei procuratori e l’appartamento del Priore. Una fontana circolare in pietra ornata di un delfino e da animali marini, crea al centro del chiostro un brioso stacco artistico, contrapponendosi alle simmetriche aiuole dallo schema semplice ed elegante. Anche questo chiostro, cosi come quello del cimitero antico, appartiene nella sua veste attuale alle ristrutturazioni settecentesche, facendo riferimento al vasto repertorio degli architetti napoletani del XVIII sec. In alto, sull’ arco della porta che immette nel primo corridoio del chiostro grande, si legge la seguente scritta, che spiega in sintesi la vita dei Certosini e che tradotta recita cosi: “Qui c’è sicura quiete, di qui si passa per andare al cielo. Resta qui per sempre o pellegrino. La quiete ti farà preservare.” Elemento culminante della vita monastica, questo chiostro si distingue per la sua monumentalità , scandita dal ritmato e ordinato ripetersi di identici elementi architettonici. Articolato su 84 pilastri su cui corre una poderosa fascia in pietra con triglifi e metope, attesta con la sua ampiezza dimensionale l’importanza ad esso connessa. La mancanza di documenti precisi, rende nebulosa la sua demarcazione cronologica relativa alla sua costruzione e all’ immenso scalone. Sporadiche fonti documentano il 1583, come anno di costruzione del nuovo chiostro. Si trattava evidentemente del rifacimento del vecchio chiostro grande esistente fin dagli inizi della fondazione della Certosa. Sconosciuti gli autori del chiostro, la cui costruzione si protrasse per circa 200 anni,restano invece profondamente evidenti precise scelte di gusto di una committenza che a sua volta seguiva le linee di tendenza della cultura del proprio tempo. Il 1703 vede l’opera del chiostro compiuta solo a metà, mancando il secondo piano e realizzato per la metà del suo perimetro lo stesso piano terra. Le Gellerie, cioè il secondo piano del chiostro, vanno attribuite a Gaetano Barra (1730-1806) nome legato anche a ben altra opera: il grandioso scalone. Collegando i due livelli del chiostro attende ad una matrice funzionale di grande rilevanza, ma la sua ragione funzionale è ben poca cosa se rapportata alla sua più convincente motivazione fantastica. Riferibile nelle sue direttive architettoniche alle scale napoletane di Ferdinando Sanfelice, la meravigliosa forma ellittica appare appesantita dall’apporto di modelli vanvitelliani, inevitabile riferimento alla sua grandiosa monumentalità e robustezza. Lasciamoci dunque avvolgere e incantare da questo vortice di arte, storia, religiosità e cultura, e immergiamoci in un tempo remoto nel quale poter ritrovare noi stessi, rubando attimi di eternità al tempo.

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