di Carlo Maria Nardiello
Con Quintiliano e Tacito si chiude l’acceso dibattito sulle cause della decadenza dell’oratoria in coincidenza con l’avvento del II sec. d.C. Entrambi gli autori sono contemporanei di Traiano (98 – 117 d.C.), l’imperatore che si mostra aperto alla ripresa di un genere, quello storiografico, non più espressione di mera simpatia al sovrano o sterile raccolta di exempla virtutis.
Con l’avvento del principato di Augusto a Roma si apre una stagione culturale di esplicita propaganda verso il regime, con l’adesione degli autori più celebri della latinità grazie alla attenta mediazione di Mecenate, vero e proprio intermediario tra l’élite culturale e il potere. Si commissionano opere volte a celebrare l’avvento del vincitore di Azio, su tutte l’Eneide virgiliana, il cui primario obiettivo restava quello di “Augustum lodare a parentibus” (Servo), capofila dell’epos celebrativo. Già la seconda generazione augustea di letterati si mostra distaccata dalla riforma culturale augustea e si dedica ad argomenti “leggeri”, Ovidio su tutti, seguendo un gusto più vicino all’ellenismo.
Scomparso Mecenate, la mediazione programmata e ponderata tra letterati e principe si interrompe e si apre la tradizione anti-tirannica, di matrice aristocratico-senatoria, che farà oggetto della propria ostilità gli esponenti della dinastia giulio-claudia, Tiberio (14 – 37 d.C.) su tutti. Subito dopo la sua morte al principato succede Caligola (37 – 41 d.C.), primo interprete della svolta autocratica da parte di un imperatore: l’apice della storiografia filosenatoria ci conserva una serie di stravaganze e capricci che concorrono alla costruzione di un personaggio folle e sanguinario. Il culmine del dissenso tra senato e imperatore riguarda la nomina a senatore, da parte di Caligola, del proprio cavallo; gli stessi senatori insieme con alcuni pretoriani tendono una congiura contro Caligola nel 41 d.C. L’imperatore Claudio (41 – 54 d.C.) non costituisce certo un’eccezione, nonostante la sua passione per la scrittura (è autore di un libro di storia, uno di grammatica in cui proponeva l’introduzione di tre nuove lettere nell’alfabeto latino); basti ricordare l’impietoso ritratto che di lui compone Seneca il filosofo nella paradossale operetta Apokolokyntosis.
Fu proprio il filosofo originario di Cordova ad ispirare il nuovo imperatore Nerone (54 – 68 d.C.), ma solo negli anni iniziali di governo, verso una ripresa del mecenatismo (augurandosi quindi una nuova stagione “aurea” per la come quella augustea). La politica culturale di Nerone è sintetizzabile nella sua stessa figura di istrione, modellata ad hoc, in linea con la generale predilezione verso la spettacolarizzazione ed ellenizzazione, linee guida dei suoi anni di governo.
Venuto meno l’ultimo discendente della dinastia giulio-claudia, molti autori salutano l’ascesa al potere dei Flavi come una nuova rotta da seguire con entusiasmo. In effetti si registra un’inversione di tendenza in ambito culturale: la nuova dinastia imperiale inaugura un programma di restaurazione sia civile che morale in tutto l’impero, ma anche culturale: si favorisce un’educazione nuovamente basata sulla retorica, di cui sono espressione sicura le cattedre statali istituite per formare i nuovi funzionari imperiali sotto Vespasiano (69 – 79 d.C.) e si riprende la poesia epica (con la triade formata da Stazio, Valerio Flacco e Silio Italico). I due anni del principato di Tito (79 – 81 d.C.) caratterizzano un biennio “felice per la brevità”: tra i suoi primi atti Tito mette al bando i processi per alto tradimento, piaga sanguinosa degli anni precedenti, strumento di persecuzione contro gli oppositori politici; inoltre con Tito non si eseguono più condanne a morte di senatori, in un estremo tentativo di riconquistare l’approvazione della classe senatoria romana e di conseguenza i delatores vedono le proprie fortune estinguersi e subiscono l’allontanamento dalla città. Ennesima ripresa autocratica dell’impero è quella voluta da Domiziano (81 – 96 d.C.) che da subito rinuncia al riavvicinamento col senato avviato dai suoi due predecessori. L’imperatore si presenta in qualità guida morale e culturale del suo popolo oltre che la naturale incarnazione del governo. Chiudono il secolo Nerva (96 – 98) e Traiano (98 – 117).
In un’analisi concentrata sulle “condizioni di salute” del genere storiografico nel I sec. d.C. è utile chiarire come sin da subito si delineano due filoni: il primo composto di sostenitori senza scrupoli del regime e degli uomini che si avvicendano a rappresentarlo, il secondo, più tormentato e ovviamente meno documentato, di fieri oppositori dei Cesari e della intera dinastia giulio-claudia da essi rappresentata.
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