di Carlo Maria Nardiello
Dopo la vittoria di Napoleone ad Austerlitz e la completa sconfitta dell'Austria, Napoli fu occupata dal generale Massena, Ferdinando fu dichiarato decaduto ed i Borbone dovettero fuggire per la seconda volta a Palermo. I francesi ritornarono anche a Potenza, prima nel 1806 con Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e poi nel 1808 con Gioacchino Murat, cognato dell'Imperatore e suo fedele generale in molte campagne di guerra.
Sotto il dominio francese, nel 1806 Potenza fu elevata a capoluogo della provincia di Basilicata; in verità già al tempo del Tanucci, sotto Ferdinando IV, si era stabilito di portare la sede della Provincia di Basilicata a Potenza, ma per riguardo verso il conte Carlo Loffredo, feudatario della città e devoto alla casa regnante, il progetto fu abbandonato. Dai francesi, soprattutto per merito di Murat, fu introdotto un profondo mutamento nella amministrazione della Basilicata in un più generale quadro di rigerarchizzazione, lasciata nel completo abbandono da Ferdinando IV: furono molto migliorate le vie di comunicazione interne e con le regioni limitrofe, migliorata l'istruzione ed introdotte nuove norme igienico-sanitarie quali l'istituzione dei cimiteri fuori dai luoghi abitati (le sepolture avvenivano allora nelle chiese, in sarcofagi o cappelle per le famiglie nobili ed il clero ed in fosse comuni per il popolo). Furono dettate nuove normative sugli acquedotti, sulla prevenzione e l'isolamento di focolai di epidemie infettive, nuove modifiche per il ricovero degli infermi negli ospedali e nei luoghi di assistenza, quasi esclusivamente all'epoca gestiti da comunità religiose, ed emesse nuove disposizioni sulle costruzioni, tra le quali definite norme antisismiche.
Risalgono, dunque, a questo periodo i primi e originali interventi a sostegno della città di Potenza in quegli ambiti del quotidiano che nel XIX secolo andavano conquistando una maggiore centralità di interessi. La precaria condizione di una città, ancorata a sistemi affatto moderni di retaggio Cinque-Seicentesco, lasciava il posto alla modernità, grazie a progetti e competenze nuove che si andavano affacciando sul panorama della contemporanea architettura, e quindi degli assetti urbanistici veri e propri. Nei primi dell’ Ottocento si fece strada anche presso gli amministratori di Potenza una rinnovata concezione di quel che oggi si definirebbe “decoro urbano”: tutto questo sarebbe stato impensabile se non si fosse stati pienamente inseriti nell’orbita francese e napoleonica. Negli stessi anni è preminente anche l’attenzione verso l’accesso pubblico alle risorse, in una generale rivalutazione territoriale che non poco modificò la mappatura di una città, da quel momento fieramente pronta a candidarsi quale città borghese, seguendo in ciò pienamente gli sviluppi del meridione tutto. Divenuta “capitale” di Basilicata con la già ricordata legge sulla divisione ed amministrazione delle province Regno dell’ 8 agosto 1806, la città fu pervasa di progetti volti a farle meritare la promozione, tanto invisa dai cittadini di Matera. Tuttavia, per inserirsi pienamente in un contesto nuovo e centrale, furono resi necessari provvedimenti in direzione di un definitivo superamento, in un panorama che “aveva ancora nella frammentata rete dei suoi debolissimi contesti urbani uno degli elementi caratterizzanti”.
In questa innovativa funzione direzionale non solo la città ma gli stessi cittadini furono coinvolti in una sostanziale rimodulazione del proprio modus vivendi: infatti ai tradizionali luoghi del potere feudale ed ecclesiastico si sostituirono i luoghi del potere laico e moderno. Due esempi in proposito: il palazzo Loffredo vide modificata la propria funzione, qui fu fissata la prima, provvisoria, sede degli uffici dell’Intendenza provinciale, e successivamente destinato ad accogliere i funzionari del Real Collegio. In ambiente religioso, invece, Convento di S. Francesco fu soppresso e a seguito di una lunga risistemazione fu scelto quale sede dell’Intendenza, passò quindi da ambiente religioso per eccellenza a luogo deputato ad accogliere la più alta istituzione civile di memoria napoleonica.
Tuttavia bisogna ricordare che la stagione napoleonica rappresentò solo l’avvio di una ragionata politica di opere pubbliche che fu portata avanti tra decennio francese, restaurazione borbonica e periodo unitario, durante tutto il secolo: molti infatti sono i progetti avviati, poi arenatisi per poi essere di nuovo impugnati e portati a termini solo sul finire dell’Ottocento.
Strade urbane e piazze sono al centro della ridefinizione territoriale su un nucleo ancora medievale: venne eletta ad asse principale via Pretoria, teatro di cantieri che si conclusero solo dopo il 1856. Con Murat, nonostante la “imperfetta rivoluzione borghese” (Lepre, 1985), si avviò la costruzione delle principali vie rotabili che avrebbero finalmente unito la Basilicata alla restante parte del Regno, “dotando così la regione di un sistema di strade che la percorrono e la connettono alle regioni confinanti” di modo che “il nuovo capoluogo si attrezza a diventare il fulcro strutturale oltre che amministrativo nella regione, con una sovrapposizione delle due centralità”. La città, dunque, si connette al territorio tramite le vie provinciali Potenza-Vietri, e Potenza-Atella; ma soprattutto la vera rivoluzione fu la scelta di tracciare la Auletta-Potenza-Matera e la Potenza-Avigliano-Atella, per collegare rispettivamente l’asse Sele-Basento e la direttrice Basento-Ofanto.
Anche l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento dei liquami diventarono problematiche da presto risolvere, in quel generale momento storico di spartiacque tra Ancien Régime e società dei proprietari: un condotto che correva lungo il sotterraneo, l’ossatura dell’acquedotto urbano, risalente al XVI secolo, versava in precarie condizioni causate da infiltrazioni e numerose faglie: perciò fu decisa la costruzione di uno nuovo in tubi di pietra. Inoltre “nel 1811 il Comune aggiudica l’appalto per riattivare la fonte dell’Ancilla Vecchia e per ristrutturare il primo tratto dell’acquedotto, e per costruire un nuovo impianto forzato nell’ultimo tratto così da portare l’acqua anche in via Pretoria” secondo il proposito di avvicinare il centro alla periferia. I lavori, qui come nel caso della rete viaria, proseguirono a rilento, nel 1813 risultò completato solo un tratto intermedio tra la contrada Botte e la fonte Ancilla Vecchia. Del tutto irrealizzato fu il secondo capitolo del progetto, quello relativo all’erogazione d’acqua in via Pretoria.
Per concludere, si deve ammettere un gap profondo tra la programmazione ispirata dalle fresche note napoleoniche, la forza finanziaria e un bagaglio di competenze tecnico ancora inadeguato.
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