mercoledì 16 marzo 2016

Sacchetti: oltre la maschera della joie de vivre

di Carlo Maria Nardiello


«Capire un uomo vuol dir sempre rubargli qualche segreto», scrive in Vita d’artista Enrico Sacchetti. In rari e fortunati momenti si verificano casi in cui le parole trovano riscontro nei gesti: per esempio nella biografia di Sacchetti. Il disegnatore di origini romane non limita il proprio estro al ritratto ma indaga, scava, conosce e svela il segreto celato in ognuno dei soggetti “rubati” alle proprie esistenze.
In un periodo storico durante il quale alla creatività non corrisponde quasi mai il lustro e la fama (e quindi il guadagno), Enrico Sacchetti, poco più che ventenne, si destreggia tra la fame lacerante e la ricerca di un’essenza unica e originaria. Grazie al padre, Giuseppe, artista nel tempo libero, sin da giovanissimo conosce Signorini, Fattori, Gordigiani, Borrani. 
Anni dopo, nella Firenze di inizio secolo, così agitata da movimenti letterari e artistici destinati a duratura fortuna, scopre il «filone d’oro» delle cartoline illustrate. Primi esemplari attestati con firma E.S. raffigurano deformi ritratti di musicisti più e meno celebri (fra gli altri Paderewski, Leoncavallo, Massenet, Verdi) venduti nella ristretta cerchia degli acquirenti fiorentini.
L’amicizia con Libero Andreotti e Umberto Notari permette al caricaturista l’ingresso nel mondo dell’editoria, in così forte espansione durante gli anni Dieci, Venti e Trenta tra Firenze e Roma. «Verd’azzurro» , ad esempio, sulle pagine del quale tratteggia una scheletrica Lina Cavalieri, prima di molte donne di teatro oggetto-soggetto degli schizzi sacchettiani. 
Ida Rubinstein, l’efebica protagonista del Martyre de Saint Sébastien musicato da Debussy su libretto di d’Annunzio, è tra le prime a collezionare una serie di ventagli disegnati da Sacchetti su commissione del couturier anglosassone Charles F. Worth nei placidi anni della Belle Époque francese, e più specificamente parigina. I teatri della capitale d’Oltralpe smettono i panni dell’intellettualismo esasperato ed esasperante per aprirsi alle donne, alle piume, al cabaret, alle musiche e luci sfavillanti. Qui Sacchetti, con un curriculum da illustratore ormai consolidato in Italia (e in Argentina) oltreché da caricaturista, riconosce il senso più profondo della sua veloce matita: le donne.
Essere solo belle non sarebbe stato sufficiente se quelle donne non avessero brillato di luce riflessa: Enrico Sacchetti riesce a cogliere quest’intima verità del femminile, riuscendo in tal modo a “smascherare” il velo d’apparenza così abusato all’epoca. La mano dell’artista riduce le dame dell’élite parigina a filiformi corpi protesi verso l’alto (quasi a voler significare un punto d’arrivo), ridotti all’essenza, a tratti scarnificati. È la lente tramite la quale l’acuto critico di costume coglie la realtà oltre l’apparenza: cosa cela l’alta società della capitale francese al di là della joie de vivre? Il beau monde europeo per quanto tempo ancora resisterà? 
Sacchetti, prima di molti suoi contemporanei, coglie il pesante grado di superficialità sotteso alle nazioni e ai popoli europei, per poi assistere inerme allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale. La felicità si traduce in necessità negli anni immediatamente precedenti la guerra: il talento più autentico del caricaturista risiede non già nel deformare capricciosamente il reale, bensì nel pronunciare, quindi manifestare, l’ipocrisia latente. 
Operando secondo tali modalità, il Sacchetti francese riesce, con largo anticipo, a conferire enorme dignità al bozzetto schizzato e caricaturizzato mentre l’Italia soffriva di miopia nei riguardi del genere, qui tenuto in così scarsa considerazione.


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