Il fascinoso brivido che lascia la Musica
È conferma Terrena
Dell'impedimento dell'Estasi.
Dell'impedimento dell'Estasi.
Sono versi di Emily Dickinson tratti da una “piccola stanza”, come lei amava chiamare le proprie poesie. E la poetessa è solo uno degli artisti omaggiati da Ezio Bosso durante il concerto tenuto presso la Cava del Sole di Matera. Uno spettacolo di musica e parole durato quasi tre ore, durante il quale i cuori dei 1500 spettatori presenti hanno battuto all’unisono con quello del pianista, compositore e direttore d’orchestra.
Quando Ezio Bosso entra in scena appare subito chiaro che di lì a poco si vivrà un incontro personale non solo con la musica dell’autore, ma con l’uomo e la Storia privata e la causa germinale delle note suonate su quello che definisce il proprio “fratellone Steinway”. Il preludio di Bosso non si consuma sulla tastiera, non inizia con le note bensì con le parole: “Insieme suoneremo stasera. Io metterò le mani, voi le vostre orecchie e il vostro cuore, lui (il fratellone) il suono: e tutti insieme condivideremo le stesse Stanze”.
Bruciando la pesantezza delle parole e invitando alla partecipazione totale, il suono inizia ad aleggiare sulle note di Following a Bird (Out of The Room). La Cava del Sole, immersa nel caldo buio, si riempie di leggerezza e libertà, la stessa inseguita dalle note nel tentativo di catturare con gli occhi il volteggiare solitario di un uccello che per primo ha invitato Bosso ad entrare nella prima delle sue Stanze. È un’iniziazione: prima di attraversare le Stanze, di fermarsi in ciascuna di esse, è necessario perdersi per imparare a seguire e contemporaneamente “perdersi seguendo” per poi trovare, trovarsi.
Il percorso meta-narrativo del Virgilio Bosso prosegue con Bach “quel gran vecchiaccio” e Chopin “il povero sfortunato”. La Suite: Bach was in Another Room è la prima, bellissima Stanza nella quale viene offerto di entrare dalla porta principale: è un’alternanza di sei brani frutto del ripensamento di alcuni fra i Preludi di Chopin composti a Mallorca e di Stanze composte da Bach. In un dialogo sempre vivo tra Passato e Passato e tra Passato e Presente, Ezio Bosso porta agli estremi un’interpretazione che si chiude con un lieto fine, quasi un dono ai suoi amici compositori.
Per il terzo brano eseguito, il pianista torinese chiama in causa John Cage, il musicista che più di tutti ha cambiato la musica nel Novecento. In a Landscape (The Smallest Room) è una rilettura che permette al grande pubblico di riscoprire, talvolta di scoprire, lo sciamano che più di tutti ha avuto un’influenza sulla scrittura musicale di Bosso. Il genio della scrittura sperimentale è stato il primo a dirgli “Bravo!” durante un’esercitazione ai tempi del Conservatorio: Bosso confessa al pubblico anche questo momento di vita, con voce tremante d’emozione e con un sacro rispetto verso il teorico di Los Angeles. Questo, come ogni altro brano del concerto, nasce da una stanza, anzi all’interno di essa: ospite in una brutta, piccola e anonima camera d’albergo, Cage dipinge con la musica un panorama ameno e placido, così meraviglioso da rifugiarvisi per sopperire allo squallore misero di quella camera. La vista dalla finestra sul muro brucia l’indigenza intorno e garantisce una perfetta fusione dell’uomo con la Natura, in uno stretto scambio di vita e musica.
Gli inediti The Waiting room e Emily’s Room chiudono la prima parte del concerto. Rispettivamente la decima e l’undicesima Stanza, esse garantiscono un graduale accostamento verso la Sonata della Dodicesima Stanza, dalla quale l’intero concerto prende il nome.
La dolcezza delle tue labbra e l’amaro delle tue parole, è il verso di Dickinson (la Emily del titolo) che ispira il quinto brano eseguito nella serata caveosa, in compagnia della luna che, stanca di nascondersi, a questo punto del concerto si alza, silenziosa e attenta, sulla testa di Bosso e del suo fratellone. La poetessa statunitense che, come ricorda il pianista, all’età di trentacinque anni sceglie di auto-recludersi all’interno della stanza del padre e ivi comporre versi, gli ha insegnato “l’Amore come Stanza dell’Esistenza”.
Dopo una pausa di pochi minuti, Bosso riconquista il centro della scena e porta per mano verso la Dodicesima, ma non ultima, Stanza. Dichiara: “La vita, che non è solo vita, ma anche esistenza, non è una linea retta da A a B. La nostra esistenza è composta da dodici Stanze. Se ci pensiamo il dodici è il numero più antico e moderno che conosciamo. Dodici i pianeti, gli apostoli, le note del mio fratellone. Dodici è il numero della conseguenza: uno, due… e prosegui, il numero per eccellenza. L’uno e il trino deriva dall’uno più il due. Le dodici porte dell’esistenza ci insegnano le dodici Stanze che compongono una vita e nella dodicesima si ricorda la prima. Ora, vedete, la prima teoricamente non possiamo ricordarla: è il grembo della nostra mamma, grazie alla dodicesima ripercorriamo tutte le precedenti”.
L’ultima esecuzione dura oltre quaranta minuti, Bosso e il suo fratellone diventano un tutt’uno, vivono e convivono l’esperienza musicale a vantaggio esclusivo del pubblico. Le ultime note che si librano nell’aria sono il dolce germinare del rapimento di una sottile figura sul palco, creatore di scie di pensiero e musica che protendono verso l’alto, seducenti e pazienti, in attesa dell’abbraccio universale tra esecutore, suono, note e orecchie e cuori.
Ezio Bosso suona, il pubblico sogna.
Entrambi accomunati dalla speranza di affermare se stessi nella Stanza dell’esistenza.
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