di Giulia Smeraldo
Era da tanto che Roma non presentava un’esposizione di arte americana ed era troppo tempo che non ero alle prese con una mostra
così “stra-ordinaria”, letteralmente fuori dalle ordinarie mostre
d’arte moderna che affollano i musei della capitale. Entrare a
Palazzo delle Esposizioni e ritrovarsi immersi in opere che
raccontano la cultura contemporanea lascia sensazioni discordanti nel
nostro animo. Spesso siamo abituati a vedere denunce velate, le opere
di Empire State invece vomitano sullo spettatore tutte le
brutture della cultura contemporanea, consegnandoci una mostra carica
di nuovi sintagmi estetici, a volte difficili da interpretare se ci
approcciamo ad esse con uno sguardo superficiale.
L’ambiziosa rassegna intergenerazionale propone al pubblico le opere di venticinque artisti newyorkesi, tra emergenti e affermati, ciascuno dei quali presentato in modo approfondito anche grazie alla presenza di lavori inediti. Il percorso espositivo, saggiamente organizzato, suggerisce i diversi modi in cui è possibile per gli artisti re-immaginare il rapporto tra la loro comunità e la città, focalizzando l’attenzione sulle eterogenee reti di potere che ne condizionano la vita. Tramite la pittura, la scultura, la fotografia, i video e le installazioni, gli artisti di Empire State esaminano il ruolo di New York nel contesto globale, in un momento in cui la vita urbana è ovunque oggetto di una ridefinizione sempre più veloce. Uno degli scopi della mostra è quello di illustrare le trasformazioni socio-economiche degli Stati Uniti e le loro ripercussioni sul ruolo, la fiducia in sé e la distribuzione del potere nella nazione.
Forse però l’aspetto più importante sta nel mostrare che in un mondo dell’arte che assume sempre più una dimensione imprenditoriale e si espande a livello globale, gli artisti stanno attivando una serie di reti in perenne movimento: relazioni, collaborazioni e scambi che vanno al di là delle barriere imposte dalla generazione, dal genere, dall’ottica o dalla tecnica individuale.
Una mostra davvero godibile, dove ogni spazio è perfettamente in linea con le opere che accoglie. Una mostra che lega e collega le capitali del mondo, che ci presenta New York come la “nuova Roma” e che dimostra quanto la Grande Mela sia ancora la culla dell’arte contemporanea, a dispetto dei tanti che già da anni credono abbia perso il suo tocco magico.
L’ambiziosa rassegna intergenerazionale propone al pubblico le opere di venticinque artisti newyorkesi, tra emergenti e affermati, ciascuno dei quali presentato in modo approfondito anche grazie alla presenza di lavori inediti. Il percorso espositivo, saggiamente organizzato, suggerisce i diversi modi in cui è possibile per gli artisti re-immaginare il rapporto tra la loro comunità e la città, focalizzando l’attenzione sulle eterogenee reti di potere che ne condizionano la vita. Tramite la pittura, la scultura, la fotografia, i video e le installazioni, gli artisti di Empire State esaminano il ruolo di New York nel contesto globale, in un momento in cui la vita urbana è ovunque oggetto di una ridefinizione sempre più veloce. Uno degli scopi della mostra è quello di illustrare le trasformazioni socio-economiche degli Stati Uniti e le loro ripercussioni sul ruolo, la fiducia in sé e la distribuzione del potere nella nazione.
Forse però l’aspetto più importante sta nel mostrare che in un mondo dell’arte che assume sempre più una dimensione imprenditoriale e si espande a livello globale, gli artisti stanno attivando una serie di reti in perenne movimento: relazioni, collaborazioni e scambi che vanno al di là delle barriere imposte dalla generazione, dal genere, dall’ottica o dalla tecnica individuale.
Una mostra davvero godibile, dove ogni spazio è perfettamente in linea con le opere che accoglie. Una mostra che lega e collega le capitali del mondo, che ci presenta New York come la “nuova Roma” e che dimostra quanto la Grande Mela sia ancora la culla dell’arte contemporanea, a dispetto dei tanti che già da anni credono abbia perso il suo tocco magico.
Immagine: Jeff Koons, Antiquity 1 (Grass), 2009-2011, olio su tela, cm. 274x213, collezione privata.
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