venerdì 16 gennaio 2015

Cenni storici sulla città di Potenza (Parte 2)

di Carlo Maria Nardiello

Relativamente scarse appaiono, allo stato attuale, le conoscenze circa l’età preistorica della città di Potenza. Inserita in contesto a prevalenza montuoso, di certo i primi insediamenti urbani sono stati fortemente condizionati dalla natura del territorio: infatti i più antichi si attestano sulle alture per un controllo ottimale dei corsi fluviali. A partire dal VII secolo a.C. l’essere stata inserita in una invidiabile condizione di equidistanza tra le colonie greche di Poseidonia e Metaponto ha contribuito a un netto sviluppo delle locali popolazioni, non più fieramente isolate ma pienamente inserite in un processo di sviluppo economico e demografico sempre crescente.
In età romana, a seguito della politica espansionistica di Roma, nuova potenza affacciatasi sul Mediterraneo, si annoverano giudizi circa la città di Potenza da parte di celebri autori della letteratura latina: Strabone e Plinio, su tutti, guardavano a Potenza come una tra le più antiche città libere ed indipendenti della Lucania.
In età medievale la città presenta i tratti tipici degli agglomerati urbani del periodo, cosparsa com’era di una serie di costruzioni ecclesiastiche e il cui abitato “doveva essere racchiuso da mura già tra fine V e inizio VI secolo quando la crisi dei centri urbani provocò, insieme allo spopolamento, la scomparsa di nuove sedi vescovili”. Al 1149 risale un’accoglienza illustre: infatti re Ruggero e Luigi VII di Francia vi sostarono durante il loro percorso di rientro, in direzione Salerno, dalla terribile seconda crociata. Sempre all’epoca dei normanni si data un altro evento capitale per la futura storia collettiva della città: nell’anno 1111 sale alla sedia vescovile Gerardo da Piacenza, santificato dopo la morte e adottato come santo patrono cittadino.
A causa dell’appoggio prestato alla causa di Manfredi e Corradino, la città di Potenza, nelle vicende di passaggio tra la dinastia sveva e quella angioina, fu praticamente rasa al suolo per volere di Carlo d’Angiò, nuovo protagonista della scena meridionale che in tal modo punì coloro i quali non parteggiarono per la sua linea politica. Altro evento distruttivo, questa volta legato alla sfortunata conformazione geomorfologica del territorio, fu il terremoto del 1273 che non risparmiò pressoché niente e nessuno. Potenza si trovò al centro di tumulti durante il delicato passaggio dalla dinastia angioina a quella aragonese tra il 1382 e il 1443. Tuttavia, “nel 1471 Ferdinando I d’Aragona onorò Potenza definendola negli Statuti e Capitoli che le concedeva città fedele e benemerita del trono”. Nel 1503 Potenza insieme al Mezzogiorno tutto assiste al passaggio di potere alla corona di Spagna, a chiusura di “un’epoca tardo medievale tutt’altro che statica, un secolo, il XV, in cui la città (…) si arricchì di importanti edifici religiosi e civili”.
Lungo il percorso della modernità gli edifici religiosi, cioè a dire la Chiesa, insieme con la feudalità e l’Università costituirono il nerbo delle figure istituzionali portanti in una vasta fascia del Meridione, di cui Potenza non fa eccezione. La feudalità potentina, nella instancabile corsa per il potere, era di diritto rappresentata da due famiglie in particolare, i Guevara prima (in ordine cronologico) e i Loffredo poi. Lasciando da parte i Guevara (la cui vicenda esulerebbe dall’obiettivo del presente lavoro), i Loffredo furono i protagonisti indiscussi della scena cittadina sin dal 1604, allorquando la città venne acquisita grazie all’unione in matrimonio tra Enrico Loffredo (già marchese di Trevico e conte di Sant’Agata) e Beatrice Guevara (figlia di Alfonso de Guevara, sesto conte di Potenza) da cui nacque Carlo Loffredo, che modificò la “natura sociale” del castello Guevara (di cui oggi sopravvive una torre) in un monastero. I Loffredo si contraddistinsero per la manifesta opposizione al trasferimento nella loro città del tribunale della Regia Udienza di Basilicata. A far data, infatti, dal 1643 le vicende legate alla collocazione della Regia Udienza provinciale di Basilicata rappresentarono motivo di scontri sul terreno degli interessi economici, e quindi politici, minacciati dalla presenza sul proprio suolo di una istituzione di controllo così “ingombrante”. Il primo paese toccato fu Stigliano, poi venne il turno di “Montepeloso, l’attuale Irsina, poi accidentalmente a Potenza, nuovamente a Montepeloso, per poi ritornare ancora a Potenza e, infine, passare per brevi periodi a Tolve, Tursi, e Vignola, l’attuale Pignola)” fino all’istituzione definitiva nella città di Matera, che in ragione di tale scelta si vide staccata dalla Terra d’Otranto, protagonista involontaria di una ridefinizione territoriale ante litteram.
Potenza, dunque, per ben due volte fu deputata ad accogliere questa scomoda istituzione all’interno delle proprie mura, nel 1645 da giugno ad ottobre e poi, una seconda volta, dal 1651 al 1657 dietro diretto ordine del viceré di Villamediana. Numerosissime le proteste che si raccolsero attorno a questa malvista scelta da ambo le parti: sia gli amministratori che lamentavano la mancanza di adeguate abitazioni, oltreché di un clima assai rigido durante i mesi invernali, sia da parte di Francesco Loffredo. 
Durante il XVIII secolo a Potenza, come in molte altre realtà meridionali, si videro emergere piccoli gruppi borghesi, le cui ricchezze si andavano accumulando grazie ai fitti delle proprietà agrarie e di pascoli, in piena sintonia col quadro d’insieme della Basilicata del Settecento, che è stato definito “un complessivo contesto socio-economico ancora prevalentemente costituito da braccianti e contadini poveri, pastori, artigiani, esili nuclei di massari, di piccola e media borghesia professionale, comunque legata alla terra, ristretti, ma potenti gruppi di benestanti, molti dei quali per gran parte dell’anno risiedevano nella capitale del Regno (…)”.
Soprattutto Carlo di Borbone, benemerito monarca nella memoria collettiva del Regno di Napoli, portò una ventata nuova di rinnovamento sociale, anche se non mancano voci pronte a guardare alle riforme di Carlo III e del ministro Bernardo Tanucci come superficiali e poco incisive. Nel 1753 a Potenza si applicarono i provvedimenti che volgevano a una equilibrata tassazione sui beni della Chiesa. Si attestarono così reddito e proprietà dei tre Capitoli ricettizi potentini, dei monasteri e del feudatario.
Il 1799, con la sua fame di novità e il suo bisogno di eroi, non risparmiò Potenza.

Nessun commento :