giovedì 6 agosto 2015

Il primo romanzo della Storia: il Satyricon di Petronio

di Carlo Maria Nardiello


Petronio arbiter elegantiae († 66 d.C.) è il colto e raffinato autore del Satyricon, unica opera ascrivibile al genere del romanzo dell’intera produzione in latino classico. Nella satira menippea, stando alle osservazioni di molti studiosi, si riflettono problematiche di età augustea, prime fra tutte la polemica violenta contro le vuote esercitazioni delle scuole di retorica e la decadenza dell’oratoria. La parte di romanzo che ci è pervenuta si apre con l’immagine di una scuola di retorica, in cui capitano Encolpio ed Asclito; Encolpio risponde con una tanto vuota quanto ampollosa declamazione alla richiesta del maestro della scuola, Agamennone, di esprimere la sua opinione su un certo tema. Il giovane protagonista, allora, posa il suo sguardo inclemente sulla condizione dell’oratoria nelle scuole di retorica:

Ora, invece, tanto con l’enfasi dei temi che col baccano fraseologico assolutamente privo di significato, l’unico progresso che i ragazzi fanno è che, al loro ingresso in tribunale, si credono trasferiti su un altro pianeta. […] Sia detto con vostra buona pace, siete stati voi la rovina prima dell’eloquenza. Volendo infatti dar corpo a qualche vostro capriccio fantastico, con involucri verbali fatti d’aria e privi di contenuto, avete fatto del discorso una carcassa stanca e floscia. (trad. di A. Aragosti)

A queste argomentazioni decise del giovane Encolpio contro le esercitazioni scolastiche sterili e convenzionali, fatte solo di immagini, personaggi e situazioni fittizi, prive di qualsiasi interesse autentico per i temi della vita politica e civile e quanto mai lontane dalla realtà, il maestro è costretto a sottostare. Quest’ultimo riconosce la veridicità delle affermazioni udite ma subito si difende:

a meritarsi la rampogna sono i genitori, cui non aggrada che i loro rampolli progrediscano sotto una severa disciplina. Prima infatti sacrificano tutto alla loro ambizione, speranze comprese. Poi, quando si affannano verso la meta, lanciano nel Foro studentuncoli ancora acerbi, e ammantano d’eloquenza – di cui riconoscono che non c’è niente di più solenne – dei fantolini che non hanno ancora smesso di nascere. Ma se lasciassero faticare gradino dopo gradino, così che i giovincelli studiosi fossero imbevuti di severe letture, e modellassero gli animi sui precetti della filosofia, e raschiassero via parole e parole con implacabile stilo, e ascoltassero a lungo ciò che vorrebbero imitare, e si persuadessero che non è per nulla magnifico ciò che piace ai bimbetti, allora davvero quella grande oratoria riavrebbe il peso della sua maestà


Con Petronio si assiste ad un importante spostamento del punto di vista, specialmente nelle parole di Agammenone: infatti, al di là della solita arringa contro la depravazione dei costumi, si fa rientrare nella discussione sulla decadenza della nobile arte oratoria il tema della scuola, dei maestri e dei genitori. Questo rappresenta una novità nella rassegna di autori e testi fin qui velocemente analizzata. Encolpio vede alle aule di scuola come il luogo del vaniloquio elevato al grado dell’eloquenza, alle vuote esercitazioni (suasoriae e controversiae) come un allontanamento dalle vere declamazioni forensi, e aggiunge che la distanza tra la realtà del tribunale e le fantasie inscenate durante questi esercizi si fa sempre più incolmabile. Tutto ciò causa, inevitabilmente, una disaffezione al gusto linguistico da parte dei ragazzi, i quali, invece, fanno dell’ampollosità un fattore determinante del proprio stile, discostandosi dalla grandezza di un Demostene, di un Platone, di un Tucidide. E proprio il ricorso agli autori fondamentali della Grecia permette di cogliere il senso che il protagonista (e per lui l’autore dell’opera) ha dell’educazione ideale, basato sul possesso di un solido patrimonio letterario come alternativa vera al semplice esercizio di abilità retorica. Abbandono di sterili esercitazioni scolastiche e riappropriazione dell’illustre passato delle lettere, in un estremo tentativo di porre un freno al declino già in atto: questa la lettura e l’interpretazione dell’arbiter elegantiae.

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