di Gianmatteo Funicelli
Nell’arte d’intaglio paleocristiana, è doveroso riconoscervi dirette attinenze tematiche con quelle che erano le prime sperimentazioni della pittura nelle catacombe: elementi legati al primo culto cristiano riportano la consapevolezza di prediligere anche sui supporti lapidei scene del Nuovo Testamento, l’ormai ben ricorrente immagine del Buon Pastore nonché i Passi della vita del Cristo che si susseguono, a volte in un’unica linea continua, sulle facciate dei marmi intagliati. Il repertorio iconografico è il medesimo, e in pittura e in scultura. L’afflusso del Cristianesimo opera le sue scelte rappresentative in un limite di soggetti ben definito.
Il IV secolo predilige nella scultura, più sperimentale delle pitture “nascoste” dai limiti della diffusione cristiana, elementi monumentali frutto di accurate committenze ufficiali che ormai si allontanano dalle “introverse” pitture funerarie popolari per accaparrarsi un’imponente valenza tra le opere ufficiali di grande spicco. L’intaglio della pietra rimanda lo scultore ad un’esecuzione ancora del tutto classicistica. Non si sperimentano nuovi canoni stilistici, ma si preferisce rielaborare elementi monumentali di una ormai eclissata romanità. È il tempo dei primi approcci al mondo cristiano che, nel processo di elaborazione, varca in una lenta formazione la luce della libertà di culto persino tra grandi figure aristocratiche. È proprio la committenza aristocratica nella scultura la viva testimonianza che il Cristianesimo si diffuse tra le classi sociali più agiate.
Nell’ambito funerario la produzione scultorea si restringe alla realizzazione di sarcofagi prettamente per i commissionari di elevato prestigio; il prezzo della realizzazione di una struttura tombale monumentale richiedeva costi di alto livello che permetteva la circolazione di essi unicamente tra le classi più abbienti. Per rimanere sui classici moduli esecutivi, anche i sarcofagi si presentavano riccamente dipinti a tinte vivaci, talvolta impreziositi da rifiniture dorate per marcare gli elementi decorativi. Ulteriori rimandi al classico si evincono anche sulle linee di progettazione dell’elemento tombale. Lo scalpellino realizza il sarcofago cristiano riprendendo lo stesso schema di quello pagano. Le realizzazioni prevedono due linee guida: per la tradizione asiatica, la decorazione campeggia sui quattro lati, così da percepire appieno le scene intagliate dal centro del sepolcreto in cui verrà posto. La decorazione di tradizione italica prevede, invece, un lato lungo completamente liscio per l’ubicazione di esso sulla parete del tumulo. I rilievi si aprono su vari registri, mentre il defunto, il protagonista dell’oggetto funerario, campeggia tra piccole colonnette, in clipei centrali o si presenta come personaggio attivo nella rappresentazione.
Nel IV secolo si assiste ad una forte cessazione di produzione microasiatica in favore di una più ricorrente realizzazione di ambito costantiniano, grazie anche ai favorevoli apporti della libertà di culto sancita dall’Editto di Milano del 313. Elemento che merita il primo accenno nella produzione stilistica costantiniana è ll Sarcofago di Giunio Basso conservato nel Museo del Tesoro in Vaticano. Datata al 359, la tomba del prefetto romano viene correlata da una vasta raffigurazione scultorea in cui si dipanano i vari temi testamentari. Sui due ampi registri si organizza la plastica delle scene, impostata tra colonnette ritmicamente binate da elementi tortili e vegetali scanditi sui busti. La vasta concezione degli spazi presenta una micro scultura a tutto tondo che padroneggia in spazi profondi così da liberarsi in un’armonica rappresentazione, che però risulta simmetricamente costruita. Dalle scene nelle nicchie i personaggi sono dotati di una viva introspezione psicologica, come si evince dal riquadro con l’arresto di Cristo, in cui è viva la rassegnazione del personaggio sacro nel centro (nell’immagine).
Dopo il IV secolo, la produzione percorrerà stili differenti a seconda delle impostazioni locali. Le rappresentazioni, sempre più stilizzate e prettamente decorative, ci rimandano alle esecuzioni ravennati e milanesi del secolo successivo.
Nell’arte d’intaglio paleocristiana, è doveroso riconoscervi dirette attinenze tematiche con quelle che erano le prime sperimentazioni della pittura nelle catacombe: elementi legati al primo culto cristiano riportano la consapevolezza di prediligere anche sui supporti lapidei scene del Nuovo Testamento, l’ormai ben ricorrente immagine del Buon Pastore nonché i Passi della vita del Cristo che si susseguono, a volte in un’unica linea continua, sulle facciate dei marmi intagliati. Il repertorio iconografico è il medesimo, e in pittura e in scultura. L’afflusso del Cristianesimo opera le sue scelte rappresentative in un limite di soggetti ben definito.
Il IV secolo predilige nella scultura, più sperimentale delle pitture “nascoste” dai limiti della diffusione cristiana, elementi monumentali frutto di accurate committenze ufficiali che ormai si allontanano dalle “introverse” pitture funerarie popolari per accaparrarsi un’imponente valenza tra le opere ufficiali di grande spicco. L’intaglio della pietra rimanda lo scultore ad un’esecuzione ancora del tutto classicistica. Non si sperimentano nuovi canoni stilistici, ma si preferisce rielaborare elementi monumentali di una ormai eclissata romanità. È il tempo dei primi approcci al mondo cristiano che, nel processo di elaborazione, varca in una lenta formazione la luce della libertà di culto persino tra grandi figure aristocratiche. È proprio la committenza aristocratica nella scultura la viva testimonianza che il Cristianesimo si diffuse tra le classi sociali più agiate.
Nell’ambito funerario la produzione scultorea si restringe alla realizzazione di sarcofagi prettamente per i commissionari di elevato prestigio; il prezzo della realizzazione di una struttura tombale monumentale richiedeva costi di alto livello che permetteva la circolazione di essi unicamente tra le classi più abbienti. Per rimanere sui classici moduli esecutivi, anche i sarcofagi si presentavano riccamente dipinti a tinte vivaci, talvolta impreziositi da rifiniture dorate per marcare gli elementi decorativi. Ulteriori rimandi al classico si evincono anche sulle linee di progettazione dell’elemento tombale. Lo scalpellino realizza il sarcofago cristiano riprendendo lo stesso schema di quello pagano. Le realizzazioni prevedono due linee guida: per la tradizione asiatica, la decorazione campeggia sui quattro lati, così da percepire appieno le scene intagliate dal centro del sepolcreto in cui verrà posto. La decorazione di tradizione italica prevede, invece, un lato lungo completamente liscio per l’ubicazione di esso sulla parete del tumulo. I rilievi si aprono su vari registri, mentre il defunto, il protagonista dell’oggetto funerario, campeggia tra piccole colonnette, in clipei centrali o si presenta come personaggio attivo nella rappresentazione.
Nel IV secolo si assiste ad una forte cessazione di produzione microasiatica in favore di una più ricorrente realizzazione di ambito costantiniano, grazie anche ai favorevoli apporti della libertà di culto sancita dall’Editto di Milano del 313. Elemento che merita il primo accenno nella produzione stilistica costantiniana è ll Sarcofago di Giunio Basso conservato nel Museo del Tesoro in Vaticano. Datata al 359, la tomba del prefetto romano viene correlata da una vasta raffigurazione scultorea in cui si dipanano i vari temi testamentari. Sui due ampi registri si organizza la plastica delle scene, impostata tra colonnette ritmicamente binate da elementi tortili e vegetali scanditi sui busti. La vasta concezione degli spazi presenta una micro scultura a tutto tondo che padroneggia in spazi profondi così da liberarsi in un’armonica rappresentazione, che però risulta simmetricamente costruita. Dalle scene nelle nicchie i personaggi sono dotati di una viva introspezione psicologica, come si evince dal riquadro con l’arresto di Cristo, in cui è viva la rassegnazione del personaggio sacro nel centro (nell’immagine).
Dopo il IV secolo, la produzione percorrerà stili differenti a seconda delle impostazioni locali. Le rappresentazioni, sempre più stilizzate e prettamente decorative, ci rimandano alle esecuzioni ravennati e milanesi del secolo successivo.
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