La mostra Alberto Giacometti, ospitata presso la GAM,
Galleria d’Arte Moderna di Milano fino al 1 febbraio, popone
l’intero percorso artistico di uno dei più significativi scultori
del Novecento con oltre 60 opere provenienti dalla Fondazione Alberto
e Annette Giacometti di Parigi.
Lo spettatore potrà seguire l’evoluzione dell’artista dagli
anni Venti agli anni Sessanta attraverso le sezioni della mostra che
sono sia tematiche che cronologiche, iniziando con la parte più
intima di Giacometti, quella dedicata alle sculture familiari e agli
esordi cubisti della sua carriera. Nel 1922 infatti, si trasferisce a
Parigi e qui capterà l’influenza artistica del tempo.
Successivamente aderirà al Surrealismo come
testimonia la seconda sezione. Una parentesi breve per l’artista ma
molto proficua. Appartengono a questo periodo capolavori come Boule
Supendue (Sfera sospesa), definita da Dalì come il
prototipo degli «oggetti a
funzionamento simbolico», punto
saliente del pensiero surrealista. L’opera è composta da tre
semplici elementi, un’intelaiatura di metallo che contiene una
mezzaluna sulla quale pende una sfera in gesso; ha una chiara
funzione erotica ed il parziale scorrimento di un atto non riuscito
innesca frustrazione, facendo risuonare echi inconsci dell’artista.
Nonostante la produzione di opere di grande fascino appartenenti a
questo periodo, nel 1935, dopo anni di esplorazioni delle
Avanguardie, Giacometti manifesta l’idea di tornare a lavorare di
fronte al modello e puntuale giunge la scomunica di Breton dal
movimento surrealista.
Solo dopo pochi anni nasceranno i personaggi filiformi di
Giacometti, che troviamo nella terza sezione: lunghe figure collocate
su alti piedistalli o dentro gabbie. La figura umana, sia singola che
in gruppo, diventa centrale nelle nuove creazioni caratterizzate da
sculture esili e ieratiche.
La successiva sezione è incentrata sul ritratto, fermando
l’attenzione sullo sguardo. Queste sculture mostrano come l’artista
negli anni della sua maturità si sia misurato, con una consueta
tenacia ed una perenne insoddisfazione nella ricerca della
somiglianza, costringendo i suoi modelli a posare anche per
settimane.
Il percorso espositivo si chiude con due sculture monumentali, La
grande testa e La grande donna, che compendiano tutto ciò
che l’artista aveva sperimentato negli anni precedenti,
soffermandosi sul fulcro espressivo delle sue opere, lo sguardo.
In questa esposizione emerge chiaramente il
genio di Giacometti e la sua profonda inquietudine
nella costante ricerca di qualcosa che poi sfugge, come scriveva
l’artista stesso: «Tutto
il percorso degli artisti moderni è in questa volontà di afferrare,
di possedere qualcosa che sfugge continuamente».
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