di Daniele Nardiello
Timothy William Burton rappresenta una figura poliedrica di
regista e sceneggiatore, ma ancor prima animatore e disegnatore. Nato
57 anni fa in una serena ed ordinata cittadina della Contea di Los
Angeles, non lontana da Hollywood, trascorre un’infanzia
travagliata. È introverso, lunatico, intollerante verso l’autorità
dei genitori. Ragazzo timido ed eccentrico, si ciba voracemente di
cartoni animati e vecchi film dell’orrore, di cui assorbe
inesorabilmente le atmosfere gotiche ed espressioniste. Manifesta ben
presto una potente disposizione artistica, che esprime attraverso il
disegno.
Il suo è un talento vero e sofferente. A 18 anni vince una borsa
di studio messa in palio dalla Disney, che gli permette di continuare
a coltivare la sua passione al California Institute of the Arts di
Valencia, per poi diventare alla fine degli anni ’70 un disegnatore
ufficiale dei lungometraggi animati. Ma il suo spirito travagliato
rifugge presto dalle atmosfere edulcorate, troppo infarcite del
presuntuoso conformismo di «graziose
bestioline ammiccanti».
Esordisce coraggiosamente da regista con il cortometraggio Vincent
(1982), omaggio al suo mito e maestro Vincent Price . Della durata di
soli 5 minuti, interamente in bianco e nero, viene realizzato con la
suggestiva tecnica stop-motion, consistente nel creare un
fotogramma per volta, ottenuto fotografando i piccolissimi movimenti
compiuti da modellini, in modo da dare l'illusione del movimento.
«Vagare vorrebbe in tenebra
oscura, sfidando pericoli senza paura», recita la voce fuori campo, sublimando le suggestioni dei racconti di
Edgar Allan Poe, in una frase che esprime tutta la sofferta
interiorità del giovane regista.
Burton esordisce nei lungometraggi con Pee-wee's Big Adventure
(1985), commedia originale e divertente che segna l’inizio della
fortunata collaborazione del regista con il musicista Danny Elfman,
con il quale in futuro collaborerà in quasi tutte le sue pellicole,
con le sue sonorità incantevoli e fantastiche, ottenute attraverso
una peculiare e magistrale composizione orchestrale.
Raggiunge un’insperata notorietà con Beetlejuice -
Spiritello porcello (1988), una stramba ma interessante commedia
fantasy-horror della Warner. La pellicola si aggiudica nel 1989
l'Oscar al miglior trucco e il personaggio gotico di Beetlejuice
conquistò un notevole successo di pubblico e critica, dando vita
anche a una serie televisiva animata.
Il giovane regista è pronto al grande salto nello star system.
La Warner gli affida nel 1989 un progetto ambizioso: la trasposizione
cinematografica del fumetto Batman. Il risultato è un grande
successo, grazie all'appoggio artistico degli attori Michael Keaton,
primo feticcio di Burton, e dello straordinario Joker Jack Nicholson.
L’anno successivo Burton discosta la sua atipica figura di film
maker dalla logica di botteghino delle major
hollywoodiane, regalandoci il poetico, commovente Edward mani di
forbice (1990). L’esordiente outsider Johnny Depp, destinato a
diventare il nuovo feticcio, interpreta una creatura grottesca a metà
strada tra Pinocchio e il mostro di Frankenstein, che vive la sua
diversità con coraggiosa illusione, per scoprire l’impossibilità
all’integrazione in un mondo di “normale” crudele umanità. Il
film è una favola amara, che sparge i semi di quel mondo misto di
tenerezza ed assurdità, che rappresenta il filo conduttore della
poetica di Burton.
Il fertile sodalizio con Depp produrrà l’eccezionale
thriller-horror Il mistero di Sleepy Hollow (1999) e la
commedia musical-drammatica Sweeney Todd - Il diabolico barbiere
di Fleet Street (2007), affiancato dalla splendida e lugubre
compagna di Burton, Helena Bonham Carter, in pellicole gotiche che
mietono premi e nomination.
Particolare menzione merita Big Fish - Le storie di una vita
incredibile del 2003, racconto della vita romanzesca di Ed Bloom
(interpretato rispettivamente da Ewan McGregor nella versione
giovanile e da Albert Finney nella fase senile, entrambi straordinari
e credibili). Si tratta di una rivisitazione del novello Barone di
Münchhausen, che appare agli occhi del figlio come una figura
patetica, incapace di affrontare la realtà e colpevole di esserle
sempre sfuggito attraverso il ricorso ai racconti fiabeschi. Tuttavia
si scopre nel commovente epilogo lo stupefacente intreccio di realtà
e magia, visibile solo agli occhi di chi conserva nel candore
infantile la capacità di vedere e saper ascoltare la ricchezza del
mondo interiore.
«La gente vede la follia
nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella
loro noiosa normalità!»
Cappellaio Matto (Johnny Depp), dal film Alice in
Wonderland (2010) di Tim Burton
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