di
Cristiana Elena Iannelli
Dallo
scorso 5 marzo è visitabile negli spazi espositivi delle Scuderie
del Quirinale la tanto attesa mostra Arabesque di Henri
Matisse. L’esposizione vuole rendere omaggio ad un aspetto
meraviglioso della creatività del maestro francese, il fascino di un
mondo che ha condizionato per sempre i suoi gusti, la sua pittura, la
sua vita, tanto da fargli affermare: «sono fatto di tutto ciò
che ho visto».
Appena
entrati, un profumo esotico invade le sale insieme alla magia
cromatica dei toni dell’azzurro e del verde, colori decisamente
ripresi dal mondo della decorazione orientale. Il Maestro del colore
è sedotto nei suoi numerosi viaggi dal “nuovo” linguaggio
artistico di quelle terre lontane, da una vera e propria “cosmogonia
mistica” che si va diffondendo in quegli anni, una ventata
esotica che caratterizza le Grandi Esposizioni Universali della
seconda metà del XIX secolo, quando le influenze straniere
arricchiscono i mezzi di espressione di Matisse, ma anche degli altri
grandi, Picasso primo fra tutti. Matisse aveva compreso la forza
primordiale che esprimevano quelle terre “incivili”.
Dagli
intensi colori delle ceramiche mediterranee, si passa al fascino per
il primitivo diffuso in quegli anni, alla stilizzazione e al forte
linearismo delle arti estremo-orientali, ma senza lasciarsi mai
sopraffare da quei motivi intarsiati e seguendo scrupolosamente
l’orchestrazione del dipinto, come dirà egli stesso. Le sue
celebri odalische e quei minuziosissimi tessuti arabescati di cui si
circonda nel suo atelier seguono un andamento sinuoso, in un gioco di
linee seducenti che esplodono nel colore.
Il
colore è stato da sempre la forza motrice della poetica matissiana,
quel colore che esiste in se stesso e in ragione del suo potere
espressivo, e nella sua produzione è proprio a partire da
quell’istino Fauve del colore che la semplificazione delle
forme ha avuto un peso rilevante. E ancora, Matisse semplifica
posizionando gli ornamenti sullo stesso piano, riducendo interno ed
esterno sulla stessa dimensione pittorica, come in Interno con
fonografo del 1934 o Interieur à Etretat del 1920.
Matisse punta sul colore, il colore del piacere, quello dell’armonia
e della rima, come assonanze musicali e poetiche tese in un perfetto
rapporto cromatico nel quale il tratto disegna non soltanto un
lineamento e, perdendo questa priorità, diviene decorazione.
L’eco
della sua poetica lo si ritrova nella realizzazione dei costumi in
occasione dello Chant du Rossignol di Stravinskij del
1920; gli abiti da scena disegnati esclusivamente dall’artista per
il balletto coreografato da Léonide
Massine, rappresenta una fusione armonica di balletto e
insieme di poesia e pittura.
Quella
di Matisse per l’arte è una vera e propria dedizione, nella quale
egli si riscopre con lentezza, assaporando e meditando in contatto
con la natura. Un lavoro assiduo e costante, alla ricerca di nuovi
segni da introdurre nel linguaggio dell’arte, per poi tornare a
quell’essenzialità gestuale che chiude il percorso espositivo.
È
la bellezza a trionfare nell’arte del maestro, la massima
semplicità che in lui coincide con la massima pienezza, è
l’equilibrio nel colore, è lì che si nasconde la chiave
dell’unicità di un grande artista come lui.
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