di Francesco Mastrorizzi
Agli inizi degli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini si recò in Terra Santa per visitare e riprendere i luoghi della narrazione evangelica, allo scopo di stabilire le possibili location per un progetto cinematografico di trasposizione del Vangelo di Matteo. Il viaggio in Giordania, Galilea e Siria si protrasse per una quindicina di giorni, toccando in particolare Nazareth, Betlemme, Gerusalemme e Damasco. Un film documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina" testimonia quel pellegrinaggio alla ricerca dell'essenza del paesaggio e dei volti incontrati a suo tempo dal Cristo. Tuttavia, sin da subito, durante il viaggio, emerse in Pasolini la delusione per l'inadeguatezza di quei luoghi a rappresentare la sacralità del tempo, a causa dell'enorme squilibrio arrecato al territorio, alle popolazioni e al paesaggio da un selvaggio e incontrollato “progresso tecnologico”, rappresentato dall’espansione edilizia a Betlemme e dalla costruzione di grattacieli a Nazareth.


Le riprese de “Il Vangelo secondo Matteo” furono realizzate in un’area territoriale compresa fra il Lazio e la Calabria. In Basilicata i set più importanti riguardarono Matera e Barile. Gerusalemme fu ambienta tra i sassi imbiancati dal sole di Matera, con il percorso della Via Crucis, la crocifissione e la resurrezione di Gesù, la travagliata fuga dell’apostolo Pietro dopo aver rinnegato Gesù, ma anche momenti delle predicazioni di Cristo. Sulla suggestiva murgia antistante i Sassi si svolse l’ultima parte della passione, dominata dall’entrata in scena della madre di Pasolini, Susanna Colussi, nel ruolo della Madonna anziana che seguiva il figlio verso il Golgota, assistendo poi disperata alla sua crocifissione, alla deposizione e accompagnandolo infine verso il sepolcro.

Nel 2006 la fotografa Giovanna Gammarota ha visitato gli stessi luoghi della Basilicata in cui il regista ha ambientato la vita di Gesù, spinta dal bisogno di verificare in prima persona, attraverso le proprie emozioni, se tali luoghi avevano conservato quella forza ancestrale e quella spiritualità di tipo estetico che comunicano nel film di Pasolini. Dalla particolare esperienza vissuta dall'artista sono nate immagini volutamente semplici e dirette, ma cariche di memoria, che testimoniano il trascorrere lento del tempo, il quale ha lasciato il paesaggio ancora lì, intatto, dopo oltre quattro decenni dalle riprese di quel film.

Gli scatti riproducono campagne nude e aperte, colline coltivate a grano, grotte dall’aspetto preistorico, pareti spezzate di case distrutte e abbandonate, tutti secondo la personale visione dell’artista, caratterizzata dal tentativo di dare forma al vuoto e al silenzio, privileggiando i luoghi privi di orpelli superflui, in modo da svelare il paesaggio nella sua dimensione più minimale, che lo rende espressione della memoria.
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