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domenica 4 novembre 2012

Marisa Merz. Tra arte e maternità

di Mariarosa Sammartino

Nell'opera di Marisa Merz, la maternità rappresenta la prima esperienza creativa. Creare, per l'artista, vuol dire prendersi cura della materia che lavora e condurla alla scoperta di sé, togliere un velo e cogliere la poesia che è nelle cose, dare un senso alla vita senza imbrigliarla in una ideologia. Marisa Merz vive l'arte come un'esperienza privata, intimamente legata alla dimensione materna. Refrattaria alle luci della ribalta, sviluppa la propria ricerca artistica a partire dai gesti a lei più familiari, come tessere trame in filo di nylon o di rame, dipingere su carta e scolpire l'argilla.
In Scarpette, un soggetto più volte rivisitato tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, la tessitura diventa non solo il segno di un rapporto inscindibile tra madre e figlia, ma anche la traccia di un legame intrinseco tra arte e maternità. Essere madre vuol dire accudire e dare forma al mondo nel quale il figlio deve imparare a camminare da solo. Le Scarpette, oggetti di uso comune che diventano un'opera d'arte, sono quindi la prova tangibile di quella cura che è un mandato irrinunciabile tanto per la madre quanto per l'artista.
Un altro soggetto ricorrente nell'opera di Marisa Merz è la Testa di donna. Scolpite prima in legno poi in argilla cruda o in cera, le Teste sono una sorta di autoritratto dell'artista la cui realizzazione, volutamente imperfetta, testimonia, ancora una volta, una idea di arte del tutto originale. Creare vuol dire sì prendersi cura del mondo, ma senza rispondere né a un'esigenza mimetica né a uno schema progettuale, l'opera si dà con la spontaneità e l'immediatezza di un gesto d'amore.
In Senza titolo (2009-2010), l'artista affronta il tema della maternità in una cornice più ampia. L'opera si sviluppa su due piani, uno orizzontale e uno verticale. Sul piano verticale (un dipinto su carta concavo che traccia un semicerchio sul pavimento), due figure femminili sovrapposte dominano la scena. Sul piano orizzontale (una lastra di rame posta alla base del supporto cartaceo), una piccola testa in argilla guarda di traverso lo spettatore. Mentre la scena rappresentata nel dipinto si riflette sulla superficie lucida del rame, il cerchio della rappresentazione si chiude: l'opera si risolve nella circolarità dell'abbraccio materno, si dà come un luogo aperto ma avvolgente, dove ogni elemento vuole essere in armonia con gli altri.
Marisa Merz è una artista italiana vicina alle istanze dell'Arte Povera. Presso il MAXXI (Roma), nell'ambito di un progetto espositivo intitolato A proposito di Marisa Merz, è possibile ammirare alcune delle sue opere fino al 6 gennaio del 2013.


Immagini:
1. Marisa Merz, Scarpette, 1968, filo di nylon e rame.
2. Marisa Merz, Senza titolo, 2009-2010. Installazione: tecnica mista su carta; scultura in pietra e argilla; lastra di rame. Misure totali: 250 x 350, MAXXI, Roma.
3. Marisa Merz, Senza Titolo, 2 teste di argilla cruda, pittura oro su treppiede in ferro, cm. 16x16x12. Collezione dell'artista.

giovedì 13 settembre 2012

L'ignoto che appare. Torino, presenze 1964-1990

Comunicato stampa

Verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso, Torino – città profonda, città geometrica – ha cominciato ad accogliere intorno a sé un nutrito gruppo di artisti, che dopo pochi anni, nel vasto concerto internazionale, si sono affermati tra i più significativi e importanti del secondo dopoguerra. Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Mario Merz, Aldo Mondino, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Salvo, Gilberto Zorio, sono i famosi protagonisti di un nuovo linguaggio – delimitabile intorno alle fortunate definizioni di arte povera e arte concettuale – che annullando o trasformando radicalmente ogni residuo pittorico, ha saputo inventare inedite e visionarie forme.
La mostra L'ignoto che appare. Torino, presenze, 1967-1990 testimonia come – attraverso un'alchimia profondamente paradossale – nella città italiana più geometrica, razionale e pitagorica, molti studi ed alcune gallerie hanno visto nascere e svilupparsi un felice turbine d'invenzioni: l'apparire di nuovi materiali, spesso viventi, organici, che mutano e si trasformano: il seme, il vegetale, il minerale, la terra, la polvere, il sale, il fuoco, l'acqua, il legno, la parola, il ghiaccio; l'apparire di forme e segni e gesti, insieme avveniristici e arcaici, primitivi e fascinosamente attuali. "L'insurrezione del valore magico e meravigliante degli elementi naturali" (Celant), in un ininterrotto fluire di metamorfosi e mutazioni – in uno spazio urbano, Torino, ben noto per la sua elegante razionalità – nell'esperienza di un'organicità che diviene immobile plastica (Gilardi), e una plasticità che si trasforma in decostruzione e meditazione (Anselmo, Merz, Zorio), in specchio (Pistoletto), in "opera pensata" (Calzolari, Fabro, Paolini), o in parola cromatica e ambigua (Boetti, Salvo). Oltre il desiderio di qualsiasi volontà rappresentativa, una nuova arte nel vivere direttamente il mistero delle cose, dove il massimo peso diviene leggerezza, e la levità si può condensare in ferro, in pietra, in legno, in piombo; dove tutto il fascino della creazione viene ripreso, smontato e rielaborato, nel turbine di un immobile divenire: le forme araldiche di un ignoto che appare: segno e visione, immagine e simbolo.
In occasione della mostra, in cui saranno esposte circa 35 opere, verrà realizzato un catalogo a colori.

Titolo mostra: L'ignoto che appare. Torino, presenze 1964-1990
Sede: Galleria Repetto, via G. Amendola, 21/23, Acqui Terme (AL)
Periodo: 22 settembre-30 novembre 2012
Artisti in mostra: Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Gilardi, Merz, Mondino, Penone, Paolini,
Prini, Pistoletto, Salvo, Zorio
Orari: martedì-sabato 9.30-12.30 e 15.30-19.30